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Rivista Antonianum
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Foto Oviedo Lluis , Recensione: Mark C. Taylor, After God, in Antonianum, 84/1 (2009) p. 169-171 .

La posizione teorica di Mark Taylor non e facile da descrivere. Sicuramente si tratta di quei casi in qui predomina decisamente un orientamento interdisciplinare di grande fecondita: teologia e filosofia della religione sono le sue basi accademiche, ma poi nuovi elementi sono subentrati, a partire di una cospicua assimilazione delle tendenze continentali del pensiero postmoderno.

Un interesse per le arti e, poi, per i nuovi media, si combina alla fine con elementi delle recenti scienze della complessità.

Il suo progetto rievoca quello del suo omonimo Charles Taylor, pure recensito in queste pagine, ma i registri sono assai diversi, come si renderà palese alla fine della recensione. Il suo scopo e comunque di rivedere cosa possa comportare la fede religiosa nelle società avanzate, dopo prendere in considerazione certi sviluppi di grande portata culturale. Un tale processo consente pure di rivedere i rapporti tra scienza e teologia.

Mark Taylor costruisce il suo caso attraverso un lungo processo che include la costruzione di teorie piu adatte alla descrizione della nuova situazione, e il percorso storico in grado di mostrare la fecondita analitica del suo modello.

L’elaborazione teorica occupa il primo capitolo, sulla “teorizzazione della religione”, e il penultimo, focalizzato sull’emergere della vita. I componenti principali di questa cornice teoretica sono la teoria dell’informazione e dei sistemi adattativi complessi, che si stendono alle forme della cosiddetta “emergenza auto-poietica”. Concetti quali “co-evoluzione, “auto-organizzazione”, e “strutture dissipative” risultano fin troppo familiari in questa nuova visione, praticamente si tratta di un “nuovo paradigma” nelle scienza della vita, e non solo. Tali idee sono state applicate ad altre discipline, pure le scienze sociali e umane, e come no, alla religione e teologia.

La maggior parte del libro (capitoli 2-6) si consacra ad una revisione della storia occidentale moderna, dai precedenti della “rivoluzione protestante” (Nominalismo). L’autore testa il potere euristico dei suoi strumenti di analisi, e cioe, intende mostrare come quella storia possa venir letta come un processo in cui emergono forme nuove di organizzazione sociale nel contrasto tra tendenze più “fondazionali” e altre più sovversive o rivoluzionarie.

Il suo caso diventa piu drammatico nell’esame di eventi piu recenti, che puntano, da una parte, a “sfigurare la realtà” (processi di critica radicale e di decostruzione), e dall’altra, a forme di “ricostruzione” (casi di fondamentalismo religioso in Nord America). Un processo di “negazione della negazione” porta a ristorare le certezze perdute, e a fornire una base sicura dopo le tendenze più devastanti delle “filosofie del sospetto” e le manovre postmoderne.

Tuttavia, tali tendenze sono giudicate sbagliate e pericolose. M. Taylor mostra piu volte le deficienze di ambedue tendenze, per quanto tendono a re-instaurare ciò che aparentmente negano. Seguendo ancora una volta il modello hegeliano, ogni tendenza – immanentista e trascendentalista; monista e dualista – finisce nel suo opposto, e si allontana del vero senso dell’esperienza religiosa, come realtà più complessa e articolata tra quei estremi.

L’analisi delle proprietà emergenti e auto-poietiche della vita offre un’analogia che consente di comprendere meglio sia l’arte che la religione, due attività molto legate tra loro. Le ultime pagine del capitolo 7 consegnano questa nuova comprensione. In parole dell’autore: “Il vero Infinito non e nè dualista ne monista, ma l’interazione creativa in cui identità e differenza diventano co-dipendenti e co-evolvono. Come tale, l’Infinito e una rete di reti emergente e auto-organizzante che si distende dalle dimensioni naturali e sociali della vita fino a quelle tecnologiche e culturali” (346). Il processo dialettico viene esaltato come la nuova comprensione di ciò che potrebbe essere ritenuto “divino” o “creativo”, puntando a una apertura in grado di riconfigurare nuove possibilita all’interno di uno stato di equilibrio instabile.

Il “dopo” del titolo Dopo Dio fa riferimento a un continuo superamento di ogni assoluto per favorire il processo creativo.

L’ultimo capitolo offre un tentativo di applicare il modello proposto al mondo reale. Come annuncia il suo titolo: “Etica senza assoluti”. Si tratta basicamente di una chiamata in favore della presa di coscienza e dell’impegno ecologico.

Dopo avere recensito l’ampio volume di Charles Taylor A Secular Age mi trovo dinanzi un altro tentativo pubblicato pure nello stesso anno, e per lo più da un omonimo, che cerca di ricostruire la storia dei rapporti tra fede e societa-cultura occidentale dal Basso Medioevo fino alle crisi odierne. I paralleli non finiscono qui: tutti due ricorrono a Hegel come la chiave che permette di organizzare tale storia e la dinamica che conduce all’attuale scontro: una forma di dialettica presiede la tensione tra la tesi cristiana e l’antitesi immanente o secolare. Pure Max Weber appare in ambedue narrazioni per provvedere una sorte di guida. Ma già qui le differenze si fanno sentire. La dialettica non si risolve in Charles Taylor entro una nuova sintesi, come accade da Mark Taylor. E poi il racconto weberiano, con la sua enfasi sul ruolo del protestantesimo, si rende molto piu palese in Mark che nel cattolico Charles.

Il libro di Mark Taylor potrebbe essere collocato in linea con altri tentativi di ripensare la categoria di “religione”, dopo assumere l’effettivo impatto della scienza, i requisiti pratici del momento storico presente e le urgenze etiche.

La teologia diventa quindi una pratica mirante a ricostruire o ristorare le forme più radicali delle nostra mente, di fornire gli schemi più ampi e in grado di organizzare tutto il resto, o di modellare il nostro accesso alla realtà nel suo insieme.

A parte diversi errori minori entro un’opera troppo ambiziosa nella sua ricostruzione storica, cio che nutre una maggiore preoccupazione e quanto un tale progetto possa provvedere un modello giusto per superare i difetti e limiti delle forme religiose tradizionali. Il fatto che ci sia tanto di Hegelianismo e di reminiscenze della Teologia del Processo non aiuta certo a qualificare tale proposta come “nuova”; casomai una riedizione di vecchie strategie miranti a uno schema di “superamento” (Aufhebung).

Il test pratico dovrebbe accertare quanto il nuovo modello riesce a soddisfare meglio le esigenze della “mente religiosa” di quanto lo fanno le forme finora disponibili, e pure quelle sottoposte a pressioni evolutive. Infatti la prova empirica e l’unica in grado di rispondere alla questione se “dopo Dio”possiamo ancora ricostruire una religione o teologia che meritano un tale nome, e capaci di assumere le stesse funzioni.

Inoltre, malgrado la filiazione accademica del autore come teologo, colpisce che non sia in grado di avvertire che il processo creativo descritto è stato caratteristico lungo la storia della fede cristiana, e che non c’è bisogno di smorzare certi livelli di trascendenza per ottenere migliori livelli di creatività.

Dopo tutto, i risultati più celebrati nella storia dell’arte si sono ottenuti proprio in momenti di maggior fede religiosa.

Ciò che è in gioco alla fine e quale progetto possa garantire meglio un futuro stabile per l’umanità, una prospettiva dove pare la religione ancora possa svolgere un certo ruolo. Le proposte alternative sembrano ancora troppo ipotetiche, almeno da un punto di vista pratico. Forse sarebbe meglio esplorare vie di sinergia tra scienza e religione, invece di tentare di ingoiare la religione entro forme ideologiche di scienza.


 
 
 
 
 
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