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Rivista Antonianum
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Foto Sileo Leonardo , Recensione: F. MARTÍNEZ FRESNEDA, La gracia y la ciencia de Jesu Cristo. Historia de la cuestión en Alejandro de Hales, Odón Rigaldo, Summa Halensis y Buenaventura , in Antonianum, 73/2 (1998) p. 372-377 .

Il pensiero medievale in generale e, in specie, la speculazione teologica prodotta dall’Università di Parigi si confermano, per estensione e complessità, un terreno di indagine di difficile dominio: ogni nuova ricerca effettuata, da una parte, modifica -o quanto meno suggerisce di modificare- il quadro delle acquisizioni precedenti, dall’altra, induce ad una continua revisione dei metodi applicati. Il presente lavoro di Francisco Martínez Fresneda rafforza questa convinzione. Il suo valore è duplice: in primo luogo aggiunge un prezioso tassello per la ricostruzione della storia della Cristologia nel secolo XIII; in secondo luogo, privilegiando un approccio ‘particolare’ nei limiti di una unità di tempo e di una supposta continuità di orientamento dottrinale, a suo modo costringe lo storico ad attenersi all’andatura della trattazione stabilita nei testi analizzati, intimamente collegata con l’esercizio didattico dei loro autori..

L’oggetto studiato dal Martinez Fresneda è La gracia y la ciencia de Jesu Cristo. Historia de la cuestion en Alejandro de Hales, Odon Rigaldo, Summa Halensis y Buenaventura; cosicché il contesto letterario è quindi relativo ai primi quattro  maestri (ai tre menzionati nel sottotitolo va aggiunto Giovanni de La Rochelle, forse fonte principale della Summa Halensis) all’origine dell’avvio e sviluppo dello Studium dei Minori incorporato nella facoltà di Teologia di Parigi. Il risultato è quindi un selezionato e organico saggio di storia di un aspetto particolare della Cristologia universitaria: la condizione umana del Figlio di Dio incarnato considerata alla luce della riflessione ontologico-psicologica come suggerito dalle parole del Prologo di Giovanni –“Il Verbo si fece carne¼pieno di grazia e di verità”. Ora, tanto “grazia” quanto “scienza”, a partire dalla teologia preuniversitaria, sono le categorie o, se si vuole, i topoi con cui vengono a rappresentazione l’identità e il dinamismo dell’anima umana di Gesù Cristo, espressiva, nella temporalità pienamente vissuta, dell’unicità della sua persona di Verbo eterno, il Figlio di Dio in permanente relazione con le altre due persone della Trinità. A ben vedere, sia la “grazia” di Gesù Cristo sia la “scienza” di Gesù Cristo, simmetricamente, danno luogo a due distinti momenti della speculazione cristologica praticata nell’esercizio universitario e dal nostro A. rivisitati, secondo tale divaricazione, in quella che egli individua come la ‘prima scuola francescana’ che si sarebbe caratterizzata, fin dalle prime battute, per una peculiare attenzione all’umanità di Cristo, in quanto congeniale alla spiritualità dello stesso Francesco. D’Assisi.

L’opera dunque si compone di otto sezioni comprese in due serie: nelle prime quattro  l’A. analizza le esposizioni relative alla “grazia”, nelle seconde quattro quelle relative alla “scienza”. Fedele al metodo “historico analítico” impostosi, l’A. evita di esercitarsi in una sistematica dottrinale propria: si attiene e, con scrupolo, al sistema di sviluppo stabilito da ciascuno dei Maestri studiati, secondo cioè il genere questionale delle rispettive trattazioni. Solo nella breve Conclusione generale (pp. 301-304) egli abbozza una visione globale che, a dire il vero, sembra castigare la ricchezza delle analisi, esemplari, prodotte nelle otto sezioni. Di fatto, cinque di queste (II, III, IV, V e VI) l’ A. le aveva pubblicate in precedenza, sotto forma di articoli, in riviste specializzate (cfr. p. 18, n. 4): ciò spiega sia una loro certa autosufficienza letteraria, sia la particolarità della composizione della prima sezione. In questa, invero, l’A., oltre ad avviare, con Alessandro di Hales, la serie delle esposizioni sulla “grazia” di Gesù Cristo, disegna, sotto il titolo “Presupposti cristologici del Medioevo”, un veloce quadro degli esiti cristologici della cosiddetta ‘età boeziana’ confluiti poi nella prima parte del liber III delle Sententiae di Pietro Lombardo, segnatamente nelle distinzioni XIII e XIV. A ben vedere, il nostro A. ritiene che i Maestri universitari abbiano ereditato e l’avvenuta separazione della Soteriologia dalla Cristologia (“En la Prescolastica se dislega paulativamente la Cristología de la Soteriología”- p. 26) e l’attitudine a tenere come ‘cristologia’ la speculazione intorno all’anima di Cristo, ossia intorno al “nucleo de toda su vida espiritual humana (gracia, ciencia, potencia, mérito etc)”, mentre come ‘soteriologia’ la speculazione sul suo corpo, separato dall’anima ma ad essa ordinato, in quanto “es el sujeto de su pasíon y muerte”, dal momento che la resurrezione viene posta su un piano di riflessione ulteriore (“La resurrecion se relega a un segundo plano, puesto que la naturaleza y persona divinas fijan la dimensión de su ser, que, a la vez, abarca y define tota su presencia como acción historica”- p. 27). Ora proprio in ragione di tale esito ai medievali appare fondamentale spiegare la costituzione ontologica del Verbo incarnato rispondendo a domande come: “cosa accade quando si uniscono le due nature? È realmente un uomo come gli uomini? Perché non è una persona umana?” D’altro canto, per rispondere a queste e ad altre domande affini s’erano andate imponendo tre spiegazioni, già note ad Abelardo, che Pietro Lombardo registra (III Sent., dist. 6, cc. 2-6): quella dell’habitus (Cristo non sarebbe un aliquid in quanto uomo, ma sarebbe un uomo in modo diverso da quello sostanziale, in lui, pertanto, il nome ‘uomo’ non indicherebbe la specie ‘uomo’, bensì l’habitus umano –tesi respinta da Alessandro III nel 1177); quella della substantia (in Cristo si darebbero una persona, due nature e tre sostanze- la sostanza divina, la sostanza anima, la sostanza corporea); e, infine, quella dell’assumptus homo (con l’incarnazione il Verbo avrebbe assunto  -per unione- un uomo, sostanza composta di anima e corpo). Quest’ultima, in realtà non molto distante dalla precedente, propende per una più chiara accentuazione della soggettività, ontologico-psicologica, divino-umana del Cristo incarnato (Cristus est unum et aliud) e in tal senso, attrae nell’orizzonte della Cristologia, la riflessione antropologica. Ad ogni modo, l’attenzione dei Maestri medievali si sposta progressivamente sia sulla filiazione della natura umana di Cristo (che, sin dall’istante del suo concepimento, viene dotata della grazia dell’unione al Verbo, dal momento che l’unione delle nature nella persona del Verbo si realizza per grazia), sia sull’esistenza umana di Cristo declinata nella pienezza della scienza-coscienza (coscienza di sé, di Figlio in relazione al Padre, e coscienza messianica di salvatore degli uomini). Non a caso, l’A. come a inizio delle sezioni sulla ‘grazia’ di Cristo, premette all’esposizione di Alessandro di Hales un rapido excursus sulle interpretazioni medievali intorno alla scienza-coscienza umana di Gesù, stabilendo un suggestivo confronto con le posizioni di Teologi a noi contemporanei, accennando ai tre documenti della Commissione teologica internazionale – Questioni scelte di Cristologia del 1979, Teologia-Cristologia-Antropologia del 1982 e La coscienza che Gesù ebbe di sé e della sua missione del 1985 (cfr. pp. 177-185).

E veniamo al merito. Alessandro di Hales afferma la pienezza di grazia della natura umana di Cristo, superiore a quella di qualsiasi creatura. Dalla esposizione che ne fa nella  Glossa super sententias a quella della questione (ante 1236) 43 delle sue Quaestiones disputatae ‘antequam esset frater, si coglie tuttavia un significativo sviluppo: solo in quest’ultima infatti la pienezza della triplice grazia creata (capitis, inhabitans e unionis- quella per cui egli è capo e influisce sugli angeli e sugli uomini, quella per la quale inhabitat Trinitas in eo,e quella per la quale  la sua natura umana si unisce alla natura divina) viene a coincidere ontologicamente con la natura umana di Cristo (pp.58-59). Odo Rigaldi nella sua Lectura super III Sent., dist. XIII (1243 ca) prima e poi nel gruppo di questioni disputate De gratia (1245-1248), pur non discostandosi dalla dottrina delle Quaestiones di Alessandro, amplia la trattazione con alcune significative insistenze: poiché la pienezza della grazia nella natura umana di Cristo manifesta anch’essa la potenza salvifica universale di Gesù Cristo, dalla grazia dell’unione discende la plenitudo quantum ad gratiam capitis. In sostanza per Rigaldi Cristo è , insieme, rivelatore e salvatore universale con entrambe le nature: quella umana è quindi perfetta sia quanto all’anima che quanto al corpo “ad finem redemptionis nostrae” (p.78). Segue che Cristo ha ricevuto la pienezza della gratia unionis dal suo concepimento (“ergo ab instanti conceptionis fuit vir et plenus gratia et sapientia”) e che, in occasione del battesimo al Giordano quella stessa pienezza ha iniziato ad effondersi esteriorizzandosi nelle opere salvifiche: “dicendum quod est plenitudo ad manifestandum et est plenitudo ad effundendum, sive manifestandum plenitudinem interiorem; quantum ad primam plenitudinem impletus est ab instanti conceptionis, sed quantum ad secundum ex tunc, quia postea incepit praedicare et docere et sanare et etiam tunc incepit sacramentorum baptismatis in sanctificatione aquarum ex contactu benedictae carnis suae et consummatum est in passione eiusdem, per hoc habet fieri remissio poenae orignalis” (p. 79, n. 66). Nella terza parte, tr.III, q.1 della Summa fratrum Minorum, redatta da più mani nello Studium dei Francescani di Parigi e in un arco di anni difficile da delimitare, tuttavia anteriore al baccellierato di Bonaventura, si incontra la trattazione sulla grazia di Gesù Cristo accanto a quelle sulla sua scienza, volontà, preghiera e meriti, compresa cioè nel panorama delle “cualidades objetivas del ser de Cristo, entre la Encarnación  y la Pasión, del tratado de Cristología”(p. 91). Come già provato da altri storici (B.Bergamo e L. Möld), questa trattazione dipende dottrinalmente da Giovanni de La Rochelle. La presentazione che ne fa il nostro A. prova peraltro che essa, in virtù di una autonoma strutturazione logica e prospettiva dottrinale, non ha diretta relazione con gli altri temi cristologici, fugando così le accuse di un ‘certo nestorianesimo’ mosse nel passato da interpreti (L. Michel, R. Silic e L. Morra) già, del resto, criticati da B. Bergamo un un articolo del 1932 (cf. p. 92, nota 3). L’esposizione della Summa Halensis è organizzata secondo un ordine che, muovendo da considerazioni generali, si concentra quindi sulla condizione speciale di Gesù Cristo: in generale la grazia viene presentata nei suoi tre aspetti di unione, di capo e di santità singolare che, in Cristo, sono previsti già nella predestinazione all’incarnazione (“cum in Christo sit triplex gratia: gratia unionis, gratia huius singularis hominis et gratia secundum quam est caput, praedestinatio Christi est respectu huius triplicis gratiae” p. 94, nota 7). In realtà, pertanto, i tre aspetti sono l’una e la medesima pienezza di grazia creata. Essa investe totalmente la natura umana di Cristo: le conferisce disposizione e mezzo a unirsi alla natura divina nell’unità personale; la rende atta ad influire come capo della Chiesa (“ Dicendum quod in Christo, secundum quod est homo, est ponere gratiam eandem quam est Caput ecclesiae” p. 116, nota 86); e, infine, ne manifesta la pienezza della santità umanamente possibile (“ in Christo fuit gratia singularis sanctitatis, secundum quam esset quidam sanctus homo, ita ut nihil deesset sibi de gratia, quae posset haberi ab homine” - p. 129, nota 141). È condivisibile la conclusione cui giunge l’A.: la prospettiva della Summa Halensis è tanto cristologica quanto antropologica: gli aspetti della grazia di Gesù Cristo paradigmano, su un piano inferiore, gli aspetti della grazia previsti per ogni creatura (cf. p. 139). Quanto a Bonaventura, l’analisi dell’A. si è concentrata soprattutto sul Comm. in Sent. (III , dist. XIII,) e sul Breviloquium (IV, 5). La grazia ricolma di tutti i beni possibili l’umanità di Gesù Cristo: le è conferita alla nascita e si manifesta a partire dal battesimo; come gratia unionis la prepara all’unione ipostatica (Bonaventura tuttavia accentua più la convenienza che la necessità e concepisce la stessa unione come relazione teandrica); come gratia capitis fa sì che essa abbia preminenza e influenza di bene esse sui giusti, anteriori e posteriori all’incarnazione e sugli angeli (in ciò segue più il Rigaldi e meno la Summa Halensis che si sofferma su tutta una serie di motivi di influenza), e che, nell’unione, partecipi alla sovranità universale del Dio-Uomo. In altri termini, per Bonaventura la grazia creata garantisce a Gesù Cristo la perfezione operativa storica: per il suo stesso essere personale, per la sua unione al Padre nello Spirito santo, per la sua influenza in tutta la creazione. Cristo è così il centro della relazione tra la Trinità e il cristiano, il vero Dio nella storia e il vero uomo in Dio (p. 302).

La progressiva orientazione antropologica alla base dell’incremento, da Alessandro di Hales a Bonaventura, della teologia della grazia costituisce la premessa  della trattazione intorno alla scienza  ‘creata’ di Gesù Cristo, unita tuttavia alla scienza ‘increata’, propria della sua natura divina. Ebbene, già a cominciare dalla Glossa di Alessandro di Hales (III,dist. XIII) si parla della conoscenza di Cristo in rapporto ai processi conoscitivi umani secondo i termini previsti dalle teorie psicologiche correnti, ossia a seconda della minore o maggiore assimilazione latina delle dottrine greco-arabe. Ma ciò non ha implicato alcun appiattimento: poiché l’anima di Cristo è perfetta, la scienza umana di cui è capace è anch’essa ‘umanamente’ perfetta, quantunque in qualche modo passibile. Stante la triplicità della scienza creata, cioè la scientia beatorum, la  scientia infusa e la scientia experimentalis acquisita, la riflessione sulla scienza umana di Cristo inizia dall’analisi di quest’ultima dibattendosi, però, tra la perfezione ontologica della sua anima (derivata dalla gratia unionis) e i limiti della sua conoscenza storica segnalati nella stessa Scrittura. Alessandro di Hales ammette esplicitamente che anche la scienza di Gesù Cristo ha origine dalla sensazione; è, tuttavia, più riluttante a supporre un aumento reale di conoscense: queste, a suo avviso, sono solo conferme ‘cronologiche’ della sua autocoscienza messianica fondamentale. Per Odo Rigaldi (Lectura, III, dist. XIII e XIV), più a riparo da enfatizzazioni, è lo stesso motivo dell’incarnazione a postulare la scienza sperimentale di Cristo (“Christus assumpserit veram naturam humanam cum suis proprietatibus et cognitionem etiam secundum naturam lapsam propter nostram utilitatem et sic patet quod cognitio creata non superfluat in ispo immo valde competebat tum propter se tum etiam propter nos”- p. 210). Pertanto: se la conoscenza umana si ha “per viam sensus memoriae et experientiae”, anche Gesù Cristo “secundum hanc viam cognovit aliquid quod non prius cognoscebat; ergo profecit in cognitione” (p. 210). Solo che la crescita di cui parla Rigaldi non va intesa come passaggio da conoscenze imperfette a conoscenze meno imperfette, quanto invece come conseguente avanzamento temporale del manifestarsi della realizzazione della sua missione salvifica (“quod autem dicitur profecisse intelligendum ad manifestationem” -p. 213). Non difforme da questa del Rigaldi l’esposizione della Summa Halensis ( III, tr. III, q.2). Piuttosto qui si palesa l’attitudine ad attenuare ulteriormente la temporalità (imperfezione e crescita) della conoscenza umana di Cristo facendo ricorso alla gratia unionis: questa impedisce all’anima di Cristo un progresso reale di conoscenza garantendole un sapere che si addice agli spiriti puri, come lo sono gli angeli (p.248). Finalmente, un vero e proprio ampliamento della tematica si ha con Bonaventura: nel Comm .in Sent.,dist. XIV, nel Breviloquium, nel sermone Christus unus omnium magister, e, soprattutto, nelle questioni disputate De scientia Christi. La presentaziione offertaci dall’A. ha il pregio della sintesi e della puntualità riguardo agli aspetti sistematici della dottrina bonaventuriana: distinzione tra scienza increata e creata; distinzione, nella scienza increata del Verbo incarnato, tra scienza di approvazione, scienza di visione e scienza di semplice intelligenza (mentre le prime due attengono alle opere buone e cattive e comprendono il passato il presente il futuro, la scienza di semplice intelligenza è intrinseca alla natura divina); distinzione, nella scienza umana, di tre momenti-livelli ascendenti di conoscenza – il sensibile, il razionale e il sapienziale; distinzione, in rapporto a Cristo, che ha la scienza creata della sua natura umana e la scienza increata della sua natura divina, di tre momenti-livelli discendenti di conoscenza – la scienza di comprensione (visione beatifica, sapere eccedente, etc.), la scienza infusa (dei puri spiriti e dello stato edenico), la scienza sperimentale (della condizione storico-messianica).

Insomma, il saggio offerto dall’A. ha tutte le qualità ‘storico-analitiche’ di una ricerca di cui non potrà non tener conto chiunque voglia, da storico, ricostruire le vicende dottrinali dell’università parigina nei primi decenni di attività dei maestri Francescani, per i quali quella cristologica sembrerebbe giocare, fin da principio, un ruolo speciale. All’A. va riconosciuto, oltre ogni altro, il merito di aver esposto la dottrina del Rigaldi (fonte per Bonaventura) sulla base di manoscritti inediti. Unica riserva – che tuttavia va interpretata alla luce dell’atteggiamento storiografico del recensore – è la seguente perplessità: prima di Bonaventura si è davvero configurata, nel segno della continuità e dello sviluppo, una tendenza cristologica propria della “prima scuola francescana”? A nostro parere Bonaventura, nel contesto di un serrato e globale confronto tra ‘metodologie’ teologiche, elabora la sua ‘via teologica’ su presupposti antropologici che, al di là del platonismo e dell’aristotelismo, egli stesso si cura di ricavare dalla Rivelazione cristologica. Non a caso, infatti, le questioni disputate De scientia Christi costituiscono il suo primo grande impegno di maestro universitario.


 
 
 
 
 
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