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Rivista Antonianum
Informazione sulla pubblicazione

 
 
 
 
Foto Etzi Priamo , Giornata di studio della Facoltā di Diritto Canonico, in Antonianum, 71/1 (1996) p. 179-181 .

Il giorno 30 novembre 1995, dalle ore 16 alle 18.30 circa, si è tenuto presso il Pontificio Ateneo Antonianum in Roma, un Seminario di studio organizzato dalla Facoltà di Diritto Canonico e suggestivamente intitolato « Dal Tridentino al Vaticano II. Due Concili a confronto ». Infatti, come è noto quest'anno ricorrono 450 anni dall'apertura del Concilio di Trento che si prolungò per diciotto anni, dal 13 dicembre 1545 al 4 dicembre 1563 e 30 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965). A nessuno sfugge l'importanza e l'influsso dei due Concili in questione nella vita e nella dottrina ecclesiale: il primo fece sì che la Chiesa superasse la crisi nella quale versava da alcuni secoli - e che raggiunse il suo culmine nel XVI secolo con la Riforma Protestante - e si aprisse ad una vita più conforme all'Evangelo e meno preoccupata del cosiddetto « temporale », il secondo ha contribuito ad avvicinarla di più al mondo moderno, variega­to e complesso, con un maggior adattamento della disciplina ecclesiastica alle necessità e ai metodi dei nostri tempi. Pertanto, come hanno a più ri­prese sottolineato i relatori, l'intento non era di contrapporre due Concili, che dottrinalmente hanno lo stesso valore, quanto piuttosto dimostrare co­me la Chiesa sia modellata sul mistero del Verbo Incarnato: infatti, essa pur traendo direttamente da Dio, o più precisamente da Cristo suo autore immediato, l'origine, è ugualmente inserita nella storia e proprio in questa storia - che deve saper leggere e interpretare - è il segno (sacramento) del­la glorificazione di Gesù. Il suo inizio parte dalla perfetta coscienza che fra il Cristo storico e il Cristo glorificato che invia lo Spirito c'è piena identità. È lo Spirito che fa della Chiesa continuamente il sacramento di Cristo, per la salvezza di tutti gli uomini. Così, guardare alla storia dei Concili diventa un'occasione straordinaria per scorgere una eloquente e durevole testimo­nianza della presenza costante del Divino Spirito promesso da Cristo, l'u­nico Maestro, che attraverso i poveri uomini che formano la sua Chiesa sulla terra continua a parlare al mondo.

Il Seminario era articolato in due relazioni: la prima, intitolata « Dal­l'intolleranza al rispetto - un cammino difficile nella Chiesa », è stata tenu­ta dal Prof. P. Viktor Papez OFM, Decano della Facoltà giuridica dell'An-tonianum. Il relatore, anche in riferimento all'anno internazionale della tolleranza indetto dall'ONU, ha esposto i profondi cambiamenti della dot­trina ecclesiastica su questo delicato argomento dal Concilio Tridentino al Concilio Vaticano II. A causa delle circostanze storiche, sociali e politiche nel passato valeva il principio: la tolleranza se è veramente necessaria, l'in­tolleranza se è possibile. Perciò se agli infedeli si applicava la regola secon­do la quale « ad fidem nullus est cogendus invitus » (S. Agostino), per gli eretici valeva il principio secondo il quale « accipere fidem est voluntatis, sed tenere fidem iam acceptam est necessitas » (S. Tommaso). 1 primi cam­biamenti nel concetto di tolleranza si trovano nelle encicliche di Leone XIII, nei documenti di Pio XII e soprattutto nella « Pacem in terris » di Giovanni XXIII. Il Concilio Vaticano II, con la Dichiarazione sulla libertà religiosa « Dignitatis humanae » ha tracciato i nuovi orientamenti della dottrina ecclesiastica sulla tolleranza: non più l'aspetto negativo cioè « per-missio negativa mali » per promuovere un bene comune maggiore ed evi­tare un male peggiore, ma l'aspetto positivo cioè il rispetto della libertà di religione come un valore positivo e come espressione della dignità della persona umana in materia di fede e di coscienza. Per il bene comune, per creare le condizioni di una vita pacifica, solidale e fraterna la tolleranza non basta più, ci vuole necessariamente il rispetto della diversità dell'altro, secondo quanto espresso anche recentemente dal Santo Padre Giovanni Paolo II: « La fede in Cristo ci obbliga a intrattenere con gli altri uomini un dialogo rispettoso ».

La seconda relazione, tenuta dal Prof. P. Nikolaus Schòch OFM, do­cente della facoltà di Diritto Canonico, si intitolava « Dall'obbligatorietà alla libertà: la forma canonica nei matrimoni dei protestanti ». Il relatore ha iniziato la sua esposizione a partire dall'introduzione della forma cano­nica obbligatoria « ad validitatem », stabilita dal Concilio di Trento con il celebre decreto « Tametsi ». All'approvazione di questa decisione prece­dettero lunghe e difficili discussioni tra i Padri del Tridentino, si trattava infatti di mutare una disciplina che durava nella Chiesa da 1500 anni. Molti di essi non si sentivano autorizzati ad approvare una legge disciplinare che costituiva una vera novità non tanto per la forma in sé quanto per la sua prescrizione « ad validitatem ». Per non invalidare i matrimoni dei prote­stanti e creare così ulteriori tensioni e attriti, i Padri del Concilio stabiliro­no la pubblicazione nelle singole parrocchie. Nelle zone divenute prote­stanti, in cui era stata soppressa la gerarchia e non c'erano più parroci cat­tolici per la pubblicazione del decreto, i matrimoni contratti senza forma canonica erano validi proprio in virtù di questa non pubblicazione. Erano invece invalidi i matrimoni di protestanti contratti nel territorio di una par­rocchia cattolica dove il decreto era stato pubblicato. Dunque, le leggi del­la Chiesa vincolavano allo stesso modo cattolici e protestanti. Il concetto territoriale di parrocchia ammetteva solo battezzati vincolati alla disciplina canonica e sudditi del parroco cattolico, e non battezzati considerati esenti: non era concepibile il riconoscimento di un'altra parrocchia « eretica », os­sia quella dei battezzati non cattolici. Questa disciplina venne cambiata da Pio X col decreto « Ne temere » nel 1907, che esimeva dalla forma cano­nica tutti i battezzati non cattolici e riconosceva come validi i loro matri­moni ovunque contratti con qualsiasi forma o anche clandestinamente. I Codici di Diritto Canonico del 1917 e del 1983 hanno recepito, in sostanza, questa disciplina mentre il Codice Orientale (CCEO), chiede per i matri­moni di tutti gli acattolici occidentali tra di loro una forma pubblica rite­nendo invalido il matrimonio clandestino.

Ad ogni relazione è seguito un dibattito, sapientemente moderato dal Prof. P. Heinz-Meinolf Stamm OFM, con interessanti interventi da parte di alcune persone dello uditorio che gremiva l'Aula San Francesco, sede del­l'incontro culturale.


 
 
 
 
 
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