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Revista Antonianum
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Foto Nobile Marco , Recensione: LUDWIG MONTI, Una comunità alla fine della storia. Messia e messianismo a Qumran; PAOLO SACCHI (a cura), Regola della Comunità., in Antonianum, 81/3 (2006) p. 571-574 .

Consideriamo insieme questi due libri, perché rientrano entrambi nell’ambito delle ricerche contemporanee, sempre più intriganti, attorno alla “comunità di Qumran”, alla sua origine, alla sua storia, alla sua strutturazione e alle sue idee. Con un elemento in più: il contributo originale di quella che potremmo ormai definire la “scuola italiana” sul tema e che ha come antesignani Paolo Sacchi e, subito dopo di lui, G. Boccaccini. Entrambi, il Sacchi con una posizione personale già maturata in studi precedenti, e il Boccaccini poi, si inseriscono in quella che viene denominata l’ipotesi di Groningen circa la storia e lo sviluppo dell’essenismo e della comunità di Qumran come sua costola separata, ritoccandola con proposte proprie originali legate al fenomeno dell’enochismo. In altri termini, secondo i due studiosi italiani, il movimento esseno sarebbe stato un fenomeno socio-religioso, le cui Scritture particolari avevano come figura centrale quella del patriarca Enoc, così come è stato coltivato, custodito e racchiuso nel pentateuco enochiano (chiamato Enoc etiopico, perché esistente per intero solo in tale traduzione e solo così conosciuto fino alle scoperte di Qumran), trovato quasi integralmente in più frammenti aramaici (eccetto il Libro delle Parabole) nella biblioteca della comunità essena dissidente. Tali ricerche costituiscono soltanto uno dei filoni degli studi attuali sul fenomeno storico di Qumran, indagato ormai da decenni con analisi e trattazioni che sono venute a costituire un mare di letteratura.

Una tematica particolare a cui ha dato origine la scoperta di Qumran è stata, fin dall’inizio, la possibile relazione tra il movimento esseno / qumranico e il nascente cristianesimo, con la conseguenza velatamente apologetica di ricoprire l’indagine sui testi con una chiave interpretativa messianico-cristiana. Tale prospettiva falsava la correttezza dell’analisi e ancor più i risultati, così che vi è stato un periodo nel quale il tema del messianismo è passato in second’ordine. Non si può però negare che elementi ideologici messianici siano presenti nella letteratura di Qumran, come hanno dimostrato vari studi recenti (vedi ad es. C.A. Evans – P.W. Flint (eds.), Eschatology, Messianism and the Dead Sea Scrolls, Grand Rapids 1997; J. H. Charlesworth et alii (eds.), Qumran-Messianism. Studies on the messianic expectations in the Dead Sea Scrolls, Tübingen 1998). Vale la pena allora condurre delle analisi che gettino nuova luce sul tema, a patto però che si metta tra parentesi la precomprensione neotestamentaria. È il criterio ermeneutico, metodologicamente corretto di L. Monti, il quale ci offre una trattazione breve ma completa delle aspettative messianiche di Qumran, seguite esclusivamente nei testi e analizzate nella loro possibile evoluzione storica. In una prima fase della sua storia (dal II sec. a.C. all’inizio del I sec. a.C.), la comunità, separatasi dal più ampio movimento esseno, non avrebbe nutrito speranze messianiche; queste avrebbero avuto origine con l’apparire sulla scena del “maestro di giustizia”, che avrebbe impresso alla comunità una svolta radicale di rifiuto del resto del movimento, non sufficientemente contrario alle deviazioni non sadocite degli asmonei (i nuovi regnanti in Israele con doppio ruolo di sommi sacerdoti e esarchi-re di stirpe non sadocita). Soprattutto dopo la morte violenta del Maestro, la speculazione messianica avrebbe ricevuto una forte accelerazione. In realtà, lo sviluppo di tali idee è complesso, perché talora l’aspettativa riguarda figure non univoche (Mosé, Elia, Melchisedeq, David), talaltra la natura messianica è il rivestimento escatologico della comunità stessa, che sente di essere tempio e messia della fine dei tempi, in attesa del tempio fatto da Dio stesso e del/dei messia da lui inviati a indizio della fine e del giudizio finale. Giudizio che storicamente e fuor di metafora è avvenuto in maniera tragica, con l’eliminazione perlopiù fisica della comunità, buona parte della quale ha seguito il destino degli zeloti oppostisi ai romani. Lo studio del Monti è denso e, come si è detto, essenziale; comunque, egli offre una base sufficiente d’indagine per sé e per i destinatari del suo lavoro, attraverso una trattazione che si suddivide in due parti, una di carattere storico, come l’abbiamo sopra delineata, e l’altra di carattere sincronico, che pone sotto esame le varie figure messianiche in gioco. Non è agevole condurre più a fondo la critica al lavoro in questione, perché molte sono le problematiche aperte. Da considerare favorevolmente è invece la posizione critica personale che il Monti assume verso l’ipotesi enochica, così come sviluppata da Sacchi-Boccaccini (p. 16), pur rientrando nell’ipotesi di Groningen. Ed è qui che s’inserisce il discorso sul secondo libro che prendiamo in esame, quello di P. Sacchi. Una buona metà del suo studio è dedicata all’esposizione, ormai matura del suo punto di vista, della storia dell’enochismo e della comunità di Qumran. Una trattazione estesa ed eloquente, la cui qualità consiste nella maturità raggiunta dal lavoro diuturno del Sacchi attorno all’origine dell’apocalittica (IV sec. a.C.) e al conseguente studio sugli sviluppi dei movimenti giudaici successivi. Il suo discorso si legge come un racconto che ha un’indubitabile fascinazione e, possiamo aggiungere, una sua plausibilità. Tuttavia, quando indossiamo la veste del ricercatore, non possiamo fare a meno di notare alcuni aspetti discutibili. Intanto, nella sua globalità, la trattazione storica scorre liscia, senza frizioni o problematiche, lungo la linea dell’enochismo, usato ormai come un dato scontato: non troviamo una dimostrazione dell’enochismo, ma una trattazione storica coerente sulla base di una tesi presupposta, che avviluppa e chiude su di sé lo sviluppo tematico, quasi senza badare alla complessità della storia, dei problemi e degli studi che da decenni travagliano gli addetti ai lavori. In realtà, è vero che oggi sappiamo molto di più sul giudaismo del secondo tempio fino all’era di Cristo, ma è ancora troppo poco, soprattutto il tema è ancora troppo complesso e talvolta tutto da indagare, anche per mancanza di fonti. La letteratura di Qumran ha certo contribuito molto a diradare il velo della nostra ignoranza, ma appunto vi sono ancora troppi interrogativi. Il movimento esseno non è l’unico delle epoche in questione, né possediamo molta letteratura attestante la pluralità dei movimenti giudaici, la loro ideologia, la loro storia, ma sappiamo almeno che il giudaismo del IV sec. a.C. – I sec. d.C. era in realtà una galassia di giudaismi. A onor del vero, questo è risaputo da un maestro qual è Sacchi ma, proprio per questo, il nostro modesto parere è quello di salvaguardare l’originalità dell’ipotesi enochica, senza bisogno di farne la chiave di spiegazione di tutto ciò che non sappiamo ancora bene circa il giudaismo del secondo tempio.

Per quanto riguarda la cura di un testo fondamentale della comunità di Qumran, qual è la Regola della Comunità (1QS o 1Q28), il Sacchi ci offre l’acribia magistrale della sua esperienza linguistica. Di molti termini egli dà una sua traduzione che discute diffusamente in nota: è un ottimo accorgimento, perché il termine originale fa capire quanto e perché il curatore si sia distaccato da una traduzione differente che sarebbe potuta sembrare più ovvia. La metodologia adoperata per la resa del testo mostra quali e quanti problemi sottendano una traduzione idonea. La Regola, che ha avuto anche delle interpolazioni, è il documento di base che contiene prescrizioni fondamentali per la vita della comunità: dopo il preambolo (1,1-15), si ha il rito con cui si entra nella comunità (1,16-3,12); indi, vengono presentati i fondamenti dottrinali su cui si regge la comunità (3,13-4,26); segue la Regola della vita comunitaria (5,1-7,25); subito dopo si ha il “manifesto di fondazione della comunità” (8,1-11,22: gerarchia e natura sacerdotale dell’autorità).

Una serie di indici e una congrua bibliografia coronano quest’opera di pregio di cui gli studiosi italiani dovranno tenere conto.


 
 
 
 
 
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