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Revista Antonianum
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Foto Rodriguez Carballo Josè , Inaugurazione dell'Anno Accademico 2005-2006. Messaggio del Gran Cancelliere, in Antonianum, 81/4 (2006) p. 777-781 .

Magnifico Rettore, Vicario Generale O.F.M.Cap., Preside della Facoltà “San Bonaventura” (Seraphicum), rappresentanti delle università pontificie, professori e officiali, studentesse e studenti tutti,

il Signore vi dia pace!

All’inizio di ciascun anno accademico ci riuniamo per inaugurare un tempo nuovo di ricerca e di studio nella nostra Pontificia Università Antonianum. Invochiamo la grazia del Signore - perché «se il Signore non costruisce la casa invano faticano i costruttori»- e guardiamo insieme con fiducia e responsabilità al nuovo anno che ci sta davanti.

Questo tempo dedicato alla nobile arte del pensare e del pensare insieme «[...] va visto sempre come una grazia che si riceve dal Signore».

Una grazia che viene dalla presenza illuminante di Dio in noi, secondo la concezione di san Bonaventura. È a partire da Cristo, infatti, che il Dottore Serafico guarda e legge la storia dell’uomo e dell’universo intero. È rispondendo a Lui con la scienza pratica della vita che l’uomo assume anche lo studio come impegno e risposta al dono ricevuto dello studio, che ha come frutto quel gaudium de veritate di cui parla sant’Agostino.

Il Capitolo Generale Straordinario, chiuso appena due settimane fa alla Porziuncola, ha richiamato con forza la perenne attualità della nostra tradizione culturale francescana, della quale nell’intervento odierno desidero presentare alcuni elementi di attualità.

Un pensiero è attuale quando è capace di incontrare e animare le nostre domande di senso, rivelando così una particolare vicinanza alla radice di ciò che è umano. Un classico dunque è un contemporaneo del futuro.

La particolare attualità del pensiero francescano mi pare sia data dalla risorsa di umanità che è racchiusa nella nostra tradizione. Se ci chiediamo il perché del fascino che san Francesco esercita anche sui nostri contemporanei, sarà difficile negare che esso in larga parte è dovuto alla sua capacità di parlare all’uomo, visto alla luce della sua vocazione ultima: «Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito». In questo senso gli fa eco santa Chiara: «[...] è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo».

Questa visione positiva non è ingenua: tiene conto infatti della situazione di estrema debolezza della creatura umana. San Francesco sa descrivere questo stato con tratti di estremo e lucido realismo: «E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati». Tale creatura, mistero di luce e di ombra al tempo stesso, va avvicinata con misericordia e compassione, rispettando e abbracciando le sue ferite, luogo di luce e di salvezza.

Una particolare attenzione all’uomo ritorna nelle varie correnti della nostra tradizione, dando forma a un vero e proprio umanesimo francescano.

Una prima conseguenza è il forte senso dell’individualità e quindi della diversità, ben radicato nella nostra tradizione. Ciò che veramente esiste è l’individuo e non l’essenza. Il primato di Dio Amore costituisce l’ordo caritatis e permette alle infinite diversità individuali di restare in relazione tra loro senza disperdersi e girare su se stesse. In questo senso è l’amore a darci ragione della profonda unità del genere umano e della creazione e non tanto l’intelletto visto come ordinatore della realtà. Per il beato Giovanni Duns Scoto, infatti, l’amore è appetitus rationalis.

In un tempo caratterizzato da un’enfasi straordinaria posta sull’individuo e altrettanto dal sospetto di chi vede minacciata la sua assoluta libertà e di chi è altrettanto preoccupato per i rischi del cosiddetto individualismo, la nostra tradizione illumina il valore permanente della soggettività umana, delle diversità chiamate a entrare in relazione tra loro. Il pensiero francescano ci può aiutare nel proporre le ragioni della fede in dialogo con chi mette al centro l’individuo, leggendolo come essere in relazione e non chiuso in se stesso. La nostra tradizione può aprire ancora la riflessione morale all’importanza del soggetto e della sua libertà, promossa dalla liberalità di un Dio che vuole e può salvare tutti secondo il suo imperscrutabile disegno di amore, che comanda anzitutto l’adorazione per Lui solo, unico Signore e assoluto.

Secondo il pensiero dell’Occam solo l’essere singolo è ontologicamente reale e nessuna entità collettiva (priva di esistenza in quanto tale) ha il diritto di subordinarlo: ne segue che ciascun individuo si erge come essere autonomo dotato di un reale potere su se stesso. La lotta di Occam contro il collettivismo e a favore dell’individualismo è stata una lotta «per il recupero della libertà degli uomini, la difesa della loro intraprendenza, il sostegno della loro autonomia».

Coniugare individuo e comunità, individualismo e persona in relazione può diventare veramente una sfida feconda per la nostra maniera francescana di pensare. Si dimostra quanto mai attuale in un tempo in cui la persona umana va difesa contro le varie forme di massificazione e di mortificazione della libertà personale.

Il pensiero francescano, mentre difende l’individuo, ne esalta la libertà contro ogni forma di necessitarismo. Secondo Scoto, Dio è libero e creando ha voluto gli enti particolari nella loro individualità, e non le loro nature o essenze. Questa visione riduce le pretese di qualsiasi realtà terrestre che voglia proporsi come assoluta, fino a elevarsi a vero e proprio assoluto: la drammatica storia del secolo appena trascorso dimostra le conseguenze di tali assoluti.

Nella tradizione francescana occupa un posto speciale la convinzione che il pensiero umano resta insufficiente a illuminare da solo il reale. In particolare è san Bonaventura a esprimere questa visione: «Abbia pure l’uomo la conoscenza della natura e la metafisica che si eleva fino alle sostanze più alte, e poniamo che l’uomo, arrivato qui, si fermi: è impossibile che non cada in errore, se non è aiutato dalla luce della fede e non crede che Dio è uno e trino, potentissimo e ottimo fino all’estremo della bontà […]. Perciò questa scienza precipitò e oscurò i filosofi [pagani] poiché non avevano la luce della fede […]. La scienza filosofica è via ad altre scienze, ma chi vuol fermarsi ad essa, cade nelle tenebre».

Bonaventura coglie nel mondo il signum, l’orma di Dio: è contrario a una ragione che ritiene il mondo una realtà totalmente profana e con leggi autonome e autosufficienti. Il sapere filosofico umano, pur con tutta la sua grandezza e profondità, non può restare fermo in se stesso e ancor meno farsi misura del reale. Bonaventura indica chiaramente la dignità della ragione umana che è ampliata dalla tensione del finito all’infinito, dell’uomo a Dio. Ricordo a questo proposito le illuminanti parole di Benedetto XVI: «L’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza - è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica entra nella disputa del tempo presente [...]. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università».

Altri due punti di particolare attualità della tradizione francescana.

Il primo è il contributo del francescanesimo al sapere empirico della natura con Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone. L’attualità del primo punto è evidente. Dinanzi alle possibilità in particolare della ricerca bio-medica la persona umana rischia di diventare sempre più mezzo e non fine: non è più così chiaro che tutto ciò che è tecnicamente possibile non è anche eticamente lecito. Le straordinarie scoperte della scienza denunciano la povertà di un corrispondente sviluppo etico. Come possiamo contribuire a questo dibattito così centrale oggi a partire dalla nostra tradizione?

Il secondo punto è costituito dallo sviluppo della pratica dell’altissima povertà nel mondo francescano insieme alla riflessione sull’uso appropriato dei beni terreni da parte dei cristiani, e quindi sulla circolazione del denaro, sulla formazione dei prezzi, sui contratti, sulla moralità dell’investimento socialmente produttivo, sulla figura del mercante. Da Pietro Giovanni Olivi, ad Alessandro di Alessandria fino a san Bernardino c’è tutto un filo rosso dell’attenzione dei francescani a questo ambito così delicato del vivere civile tale da dimostrare come i nostri fratelli si siano sempre considerati cittadini a pieno titolo della città degli uomini e del suo tormentato cammino nella storia.

Tutto il discorso che ho cercato di svolgere sinora testimonia che si serve il Vangelo servendo l’uomo. Era il mio punto di partenza. Il valore e la passione per tutto ciò che è umano sembra essere ciò che rende sempre attuale e affascinante la persona e il messaggio di san Francesco e dei suoi seguaci in tutti i tempi.

Mi sembra allora che la tradizione francescana, debitamente studiata e proposta come sorgente di ispirazione, può aiutare il nostro pensiero ad abitare questo tempo senza dogmatismi e scevri da posizioni di scontro con chi ha altre visioni del mondo, bensì animati da immensa simpatia per il mondo, capaci di dialogare con l’uomo di oggi e di valorizzare ciò che ci unisce. Questo atteggiamento fondamentalmente positivo non ci fa chiudere gli occhi sulla forza del male e sui rischi di una ragione lasciata a se stessa. Però ci fa guardare l’uomo e il mondo all’interno del disegno di amore e di bene di Dio, che nella sua infinita  trascendenza e libertà ama tutte le sue creature senza distinzioni e tutte le vuole salvare, partecipando loro la sua divina gioia di esistere. Questo sguardo in prospettiva permette al francescano e a colui che si ispira a tale tradizione di amare tutti senza barriere, di incontrare ciascuno nella sua particolare originalità, di non giudicare nessuno prima di averlo conosciuto e incontrato. Tradizione intellettuale e spirituale, attitudine del pensiero e del cuore qui si fondono per animare quel particolare umanesimo che il movimento francescano ha saputo mantenere desto e attuale nel corso di questi ultimi otto secoli.

Mi auguro vivamente che la vita e l’attività di questa nostra Pontificia Università sappiano proseguire sulla strada aperta dalla perenne attualità della nostra tradizione intellettuale francescana. A questo fine rinnovo il mio invito a tutti i professori e studenti perché si impari sempre di più - con francescana umiltà e intelligenza - a pensare e a ricercare insieme la Verità e il Bene. La Chiesa tutta ha urgente bisogno di vedere che anche la pratica dello studio appartiene all’interezza della vocazione cristiana e all’incontro con le tante culture che oggi popolano il nostro mondo. Fate vedere a noi tutti che è possibile cercare insieme la verità e approfondirla per il bene dell’uomo di oggi.

Mi auguro ancora che le facoltà e gli istituti dell’Università, in relazione feconda con il Collegio “San Bonaventura” dei Frati Editori di Quaracchi e la Commissione Scotista, possano procedere in modo interdisciplinare per approfondire la nostra tradizione di pensiero e contribuire così a caratterizzare sempre più nel solco del pensiero francescano questo centro di studi del nostro Ordine, che vuole diventare sempre più un centro propulsore di pensiero e di incontro anche per tanti che, pur senza un riferimento istituzionale alla nostra famiglia, guardano con interesse e simpatia al suo patrimonio integrale.

Buon anno accademico a voi tutti in nomine Domini!


 


 
 
 
 
 
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