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Revista Antonianum
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Foto Nobile Marco , Recensione: Helmut Utzschneider, Das Heiligtum und das Gesetz. Studien zur Bedeu-tung der sinaitischen Heiligtumstexte , in Antonianum, 64/4 (1989) p. 608-610 .

Il presente studio è la dissertazione che l'Autore ha scritto per l'abilitazione alla docenza, ottenuta nel 1986-87 all'Università di Mùnchen. E' un'opera interessante, che merita di essere conosciuta nel mondo scien­tifico ed usata come base per ulteriori  dibattiti  e  studi.

Nel panorama attuale degli studi anticotestamentari, una parte pre­ponderante è occupata dal problema metodologico, che sta da tempo ope­rando una vera e propria rivoluzione e, anzi, ha fatto nascere una nuova epoca nella ricerca biblica.

Come in tutti i momenti di transizione, nell'epoca odierna, l'antico rappresentato dai suoi modi di ricerca e dai risultati raggiunti, lascia trasparire gli anni e le insufficienze; d'altra parte, ad esso non si pos­sono negare i fecondi traguardi raggiunti e quegli autentici valori meto­dologici e di contenuto rappresentati, talvolta ancora validi. Il nuovo, dal suo canto, cerca non solo di colmare le lacune passate, continuando nello stesso solco, bensì sperimenta nuove vie offerte dall'efflorescenza di giovani scienze, come la sociologia, la psicologia e la linguistica. A questo punto, la tensione tra l'antico e il nuovo è fisiologica ed auspi­cabile. Essa però può diventare lacerazione, come talvolta avviene, quan­do l'antica metodologia si autogenera stancamente lungo l'analisi dei testi biblici, senza dare un reale apporto scientifico alla ricerca e pre­cludendosi, volutamente, altri apporti non tradizionali: la metodologia diviene ideologia. Ma la lacerazione si può avere anche quando le nuove metodologie, invece di riconoscere il loro carattere parziale e relativo, così come relativo lo è quello dell'antico metodo, si presentano come « totalizzanti ». Nascono, allora, dilemmi come quello emergente dal con­fronto tra studiosi storico-critici e semiologi: la storia o la struttura? Due strade metodologiche, la cui convergenza sarebbe fruttuosa, si trasfor­mano  in  rette  parallele   reciprocamente   incomunicabili.

Il presente libro ha proprio questo merito particolare, quello di dare un apporto fondato a tale dibattito, non abbandonando il terreno sto­rico-critico, ma, rigenerandolo, però, con l'aiuto e l'affinamento del senso letterario  che  offre  la  moderna   scienza  linguistica.

L'U. ha soprattutto un'intenzione metodologica che, tuttavia, ve­rifica concretamente e approfonditamente nell'analisi dei testi trattanti il santuario sinaitico:   Es 25-40;  Lev 8-9.

Egli sostanzialmente vuol superare quella concezione esegetico-lette-raria che parte dal Wellhausen e giunge fino ad osrgi, passando per il Noth e il Von Rad, secondo cui nella cosiddetta fonte sacerdotale, o fonte P, sia da distinguere diacronicamente un nucleo originario di fondo (Grundschrift) dagli apporti secondari successivi, cioè i vari Ps (= P secondari).

L'U., invece, attraverso una lunga e complessa analisi, metodologica­mente fondata, riesce a dimostrare che i testi biblici suddetti sono piuttosto una sincronica rielaborazione (Bearbeitung) di macrostrutture letterarie, rifacentesi ciascuna ad una concezione ideologica diversa e at­tualmente collegate in una super-costruzione letteraria, nella quale vera­mente vi è una firma « sacerdotale », ed è quella riflessa dalla ideologia dei «testi della tenda dell'incontro» (Es 28,1-29,46; Lev 8). Ma qual è il procedimento metodologico dell'A.? Egli parte dall'assunto che è fondamentale per l'esegesi dei testi l'aspetto contestuale sul piano sincronico. Il contesto va considerato a tre livelli: quello della tradizione codificata o dei co-testi (Kotexte), che corrisponde alla consueta « Literargeschichte », quello dei concetti tradi­zionali (tradizionale Konzepte), che corrisponderebbe alla « Gattungs-» e alla « Traditionsgeschichte » (ma più a quest'ultima, stando al procedi­mento dell'U.) e, infine, il livello del contesto situativo (situative Kon-textebene), che fa riferimento alla datazione dei testi e al loro luogo storico d'origine.

In realtà, l'A. si muove nella sua analisi con libertà e originalità: « Gleichwohl — oder eben deshalb — scheint es uns in der gegenwàrtigen Lage der Forschung notig, die Texthypothese fur die sinaitischen Heilig-tumstexte zunàchst ohne ein vorgàngiges literarhistorisches Modell zu entwickeln » (p. 71). Così, FU., attento innanzi tutto ai contenuti, indaga prima i « momenti di coerenza » di essi, per passare poi, come con­troprova, all'analisi del loro aspetto formale o ai « momenti di coesione ». L'analisi vuole scoprire fino a che punto l'insieme dei testi in que­stione, confrontati con i loro co-testi, siano o meno indipendenti. Indi, l'A. passa ad indagare le relazioni esistenti tra la struttura profonda e quella superficiale dei testi. Questi concetti egli li ha mutuati dalla lin­guistica e li rende proficui, anche se non li usa in modo proprio a detta scienza. Egli, infatti, per struttura profonda intende esclusivamente l'aspet­to concettuale del testo; rimane, quindi, sempre sul piano della « per­formance » testuale e non va mai al di sotto, al piano semiotico gene­rativo (« competence »). Ad ogni modo, non bisogna scordare che FU. vuole rimanere un ricercatore storico-critico, anche se elastico e illuminato.

La fase d'analisi porta, al suo termine, a formulare un modello espli­cativo storico-letterario dei testi, la cosiddetta « Texthypothese » che sfocia in quel modello di « Bearbeitung », di cui sopra. Infine, l'A. cerca di rico­struire il significato concettuale dei « testi del santuario », in relazione a concezioni sincroniche, presenti nel tempio di Salomone di IRe 6-8, e nel secondo tempio, così come lo s'immagina in Esdra e in Aggeo e Zaccaria.

Si è detto l'essenziale su questo libro, ma svariati sono i punti, non irrilevanti, che potevano   ancora  essere   discussi.

Discutibile è quel concetto di Weltlichkeit (mondanità), che FU. sus­sume dallo Zimmerli (p. 1) e che vorrebbe ritrovare nei testi della « ten­da del convegno », ove si rispecchierebbe quasi una mentalità « profana » (sic!) (p. 127). Queste pregiudiziali «dogmatiche» è bene lasciarle fuori da testi così antichi, pena perlomeno l'anacronismo, nel quale spesso cadono i teologi, sia cattolici che protestanti.

E' da rilevare ancora il leggero fastidio provocato dall'imperfezione tipografica   dei   caratteri  dei  libri   di   questa   collana.

Naturalmente, queste osservazioni critiche non intaccano il valore che  abbiamo  già  riconosciuto  a  quest'opera.

 


 
 
 
 
 
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