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Relationes bibliographicae: L'etica di Tommaso D'Aquino

 
 
 
Foto Harsányi Pál Ottó , Relationes bibliographicae: L'etica di Tommaso D'Aquino, in Antonianum, 78/1 (2003) p. 163-172 .

Un significativo volume di ventotto studi sull’etica tommasiana, per la quale si nota oggi un rinnovato interesse. Molti autori hanno scritto sul rapporto tra fede e ragione, natura e grazia, e parecchi moralisti hanno esaminato gli atti umani, la felicità e le virtù in Tommaso, ma nessuno ha offerto una trattazione sintetica sugli argomenti morali più importanti della Secunda Pars della Summa. L’opera intende ricoprire questa lacuna.

Il libro, curato da Stephen J. Pope, professore associato di etica sociale del Dipartimento di Teologia del Boston College, si suddivide in tre parti di ineguale ampiezza. La prima introduce i lettori alle fonti, al metodo e ai grandi temi dell’etica tommasiana (per complessive 53 pagine), la seconda parte presenta una dettagliata discussione dei trattati della Secunda Pars (297 pagine), la terza porta il titolo «The Twentieth Century Legacy» e prende in esame le varie ripercussioni dell’etica dell’Aquinate nel secolo XX (102 pagine). Gli studi della seconda parte non sono in senso stretto «commentari», ma cercano di proporre interpretazioni convincenti della struttura e argomenti dei «trattati». I contributi dell’ultima parte intendono dimostrare che il tomismo è una tradizione dinamica di ricerca la quale è tutt’altro che una teoria statica e monolitica.

Leonard E. Boyle O.P., già professore dell’Angelicum (Roma) e Preside della Commissione Leonina, presenta una rivisitazione delle circostanze di nascita della Summa. Servais-Théodore Pinckaers O.P., professore emerito dell’Università di Fribourg (Svizzera), parla sulle fonti di Tommaso. Egli nota una differenza nell’uso delle citazioni tra gli Scolastici e gli autori moderni. Questi ultimi, usando le citazioni, danno un’idea dell’opinione dell’autore. Le citazioni nel metodo scolastico, invece, sono nel corpo del testo, non nella nota, e formano parte integrante dell’argomento. Gli Scolastici non citano mai autori loro contemporanei. Nella gerarchia delle fonti dopo la Sacra Scrittura vengono i Padri, commentatori autentici del Verbo di Dio e le Sentenze di Pietro Lombardo, che trasmette il prezioso patrimonio patristico. Riguardo ai filosofi, oltre Aristotele, che è la fonte principale di Tommaso, vengono usati Cicerone e Seneca per le trattazioni delle virtù, Boezio per il trattato della felicità e Nemesio per l’analisi degli atti umani. Oltre i testi di grande autorità come fonti esterne, l’Aquinate adopera anche fonti interne che giocano un ruolo importante nella sua teologia. La prima fonte interiore è la ragione umana che dà luce all’insegnamento. Nel trattare la docenza, Tommaso distingue un doppio movimento: quello esteriore, detto disciplina, in cui il maestro aiuta il discepolo ad acquisire la scienza, e quello interiore, nel quale la ragione del discepolo partecipa sempre di più alla verità divina. L’altra fonte interna è la Sacra Scrittura con la grazia dello Spirito Santo, la cui azione predominante si manifesta nella trattazione della Legge Nuova. Tommaso precisa che i doni dello Spirito vengono associati alle virtù: alla fede il dono della scienza, alla carità la saggezza e alla prudenza il dono del buon consiglio. Il curatore, Stephen J. Pope, riassumendo l’etica tommasiana nella struttura tripartita della Summa, ricorda l’adozione del motivo neoplatonico dell’emanazione e ritorno (exitus-reditus), inquadrato nella visione cristiana delle realtà create da Dio Creatore e del loro ritorno a Dio Redentore. Le caratteristiche fondamentali dell’etica tommasiana vengono sintetizzate in sette punti correlati tra loro. Lo studio teologico considera l’intera realtà in quanto essa deriva da e ritorna a Dio, al punto focale della vita morale cristiana. L’etica è radicata nelle virtù teologali, che prendono questo nome perché attraverso esse l’uomo è direttamente orientato verso Dio. La seconda caratteristica presenta l’etica come finalità, in quanto essa cerca di dare una risposta all’inquietudine dell’uomo nella ricerca della felicità. La visione morale è umanistica e teocentrica perché l’uomo è presentato come immagine di Dio con la sua libertà e responsabilità. La quarta caratteristica è la finitudine dell’uomo, i suoi limiti e le sue debolezze. La Summa attribuisce un posto privilegiato alle virtù e alla crescita personale, che sono subordinate alla legge. Quest’accentuazione delle virtù è in piena armonia con l’intenzionalità e interiorità dell’uomo. La sesta caratteristica è la visione della morale cristiana come una vita potenziata dalla grazia. La natura umana è ferita dal peccato e i suoi affetti sono inevitabilmente disordinati senza la grazia. Infine, l’Aquinate sottolinea il primato della carità. La comunità cristiana è unita dall’amore dello Spirito, che è il movente ultimo dell’uomo verso Dio. La vetta della dinamica etica in Tommaso si trova non nelle opere buone, bensì nell’approfondimento dell’amore, che trova la sua più alta espressione nella contemplazione, nell’unione mistica e, in ultima analisi, nella visione beatifica.

La Prima secundae si apre con la trattazione sulla felicità (I-II, qq. 1-5), presentata da Georg Wieland, professore di filosofia dell’Università di Tübingen. Lo scopo della teologia è la conoscenza di Dio, prima in sé come Trinità, poi come il fine della creazione e, ultimamente come Dio Redentore. Tommaso colloca la persona umana, in quanto immagine di Dio, al centro della sua riflessione, poiché la persona possiede libertà e controllo delle sue azioni (I-II, Prol.). Nella Summa contra gentiles l’atto umano e il suo fine appaiono come un caso del movimento cosmico, mentre la Summa theologiae focalizza gli atti che derivano dalla ragione e dalla libertà. Le prime cinque questioni rispondono alla domanda sul fine ultimo della vita umana. Tommaso sostiene che può esistere solo un fine ultimo per tutti gli esseri (I-II, q. 1, a. 7), tuttavia, nel determinare questo fine le opinioni si dividono (I-II, q. 1, a. 7, ad 2). Il politico considera il potere come suo fine ultimo, l’edonista, invece, il piacere. Il fine ultimo autentico può essere individuato soltanto da uno che vive una vita morale. Tommaso non argomenta, però, sulla vera moralità della vita, bensì sull’inclinazione naturale e sull’atto. Egli parla di Dio come fine dell’umanità e di tutta la realtà (I-II, q. 1, a. 8). All’inizio della seconda questione viene introdotto il concetto della felicità (beatitudo). Essa può essere ottenuta attraverso le facoltà e azioni dello spirito (conoscenza e amore). Tuttavia, nessun bene creato può soddisfare perfettamente la ricerca infinita dell’uomo. L’Aquinate deve dimostrare come può la persona finita possedere e godere un bene infinito. Egli argomenta che la felicità è il conseguimento del fine ultimo (consecutio finis ultimi) (I-II, q. 3, a. 4). La tesi di Tommaso, in breve, è che la persona ha un desiderium naturale che viene soddisfatto fissando lo sguardo sull’opera divina. La quarta questione tratta gli effetti della felicità (della visione beatifica) sulla persona. L’Aquinate considera la gioia come effetto immediato della visione beatifica. Appena si ottiene il bene supremo ne risulta la gioia, che necessariamente viene accompagnata dalla felicità (I-II, q. 4, a. 2, sed contra). In seguito l’argomento si sposta verso i requisiti necessari della felicità, specialmente nella vita presente (q. 4, aa. 5-8). Secondo Tommaso, la natura umana è così limitata che essa non può raggiungere la visione beatifica da sé. Il Dottore Angelico ha dimostrato che cos’è il fine ultimo dell’uomo e la sua capacità di possedere la visione beatifica (I-II, q. 5, a. 1). Quest’ultima apertura fondamentale non significa eo ipso la sua abilità di cavalcare la distanza infinita che separa l’uomo dal suo Creatore. La visione beatifica rimane un dono e una grazia.

David M. Gallagher, già membro della Scuola di Filosofia dell’Univer-sità Cattolica d’America, discute sulla volontà e i suoi atti (I-II, qq. 6-17). La bontà e la malizia degli atti umani (I-II, qq. 18-21) vengono trattati da Daniel Westberg, sacerdote della Chiesa anglicana di Canada che insegnava all’Università di Virginia. Kevin White, professore assistente presso la Scuola di Filosofia dell’Università Cattolica d’America, presenta le passioni dell’anima (I-II, qq. 22-48). La questione importante delle abitudini e delle virtù è esposta da Bonnie Kent, professoressa associata di filosofia dell’Università di California a Irvine. La parola greca «hexis» è stata tradotta con «habitus» in latino. Il significato originale di «hexis» è una caratteristica durevole dell’agente, inclinato a certe azioni e reazioni emozionali e non è l’azione o l’emozione in sé. Trattando gli abiti (I-II, qq. 49-54) sembra che Tommaso segua Aristotele ma, in realtà, citando Averroe, l’Aquinate sostiene che «l’abito è ciò per cui noi agiamo volontariamente» (I-II, q. 49, a. 3). Quando Tommaso procede argomentando che certi abiti sono infusi in noi da Dio (I-II, q. 51, a. 4) diventa più evidente il suo distacco dalla filosofia aristotelica. Benché la divisione tra le virtù morali e intellettuali dell’Etica Nicomachea sia considerata adeguata per le virtù umane (virtutes humanes) Aristotele fallisce nel considerare la fede, la speranza e la carità tali che superano la natura e ci rendono partecipi alla grazia di Dio. Per questo la sua definizione di virtù risulta miope (I-II, q. 58, a. 3, ad 3). La definizione tommasiana proviene dalle Sentenze di Pietro Lombardo: la virtù è una buona qualità della ragione con cui viviamo giustamente, di cui non facciamo abuso e con la quale Dio agisce dentro di noi e senza di noi (I-II, q. 55, a. 4). Dopo aver definito la virtù, Tommaso spiega che una virtù senza qualificazione può appartenere solo alla volontà o a un altro potere dell’anima (I-II, q. 56, a. 3). Gli abiti intellettuali, come la scienza e l’arte sono considerati virtù soltanto nel senso relativo (secundum quid). Alcuni considerano il cristianesimo come una relazione privata con Dio, Tommaso invece augura che il cristianesimo abbia un’influenza significativa sulla condotta umana. Egli sottolinea per esempio la differenza tra la temperanza infusa da Dio e quella acquisita. Ciò che può essere una cosa prudente per un cristiano può non esserlo per un non cristiano a causa del diverso sottofondo motivazionale. Georg M. Reichberg, ricercatore di etica dell’International Peace Research Institute in Oslo (Norvegia), scrive sulle questioni riguardanti le virtù intellettuali (I-II, qq. 57-58). Il tema classico del vizio e peccato è presentato da Eileen Sweeney, professoressa associata di filosofia del Boston College. Clifford G. Kossel S.J., professore emerito di filosofia dell’Università Gonzaga di Spokane (Washington), tratta la legge naturale e umana (I-II, qq. 90-97). La legge rivelata (I-II, qq. 98-108) viene esplicata da Pamela M. Hall, professoressa associata di filosofia dell’Università Emory.

Theo Kobusch, professore di filosofia del Ruhr-Universität Bohum, discute le questioni sulla grazia (I-II, qq. 109-114). Questo trattato non è un’anticipazione dell’esposizione della dottrina sull’Incarnazione, bensì fa parte integrante della Prima secundae e deve essere considerato come insegnamento sugli atti umani. Gli abiti e le virtù sono i principi interni, la legge e la grazia quelli esterni dell’atto umano. Qui Tommaso applica la metafisica di Aristotele alla morale, così si può giustamente parlare di una metafisica dell’atto umano. Come nella metafisica dello Stagirita si tratta di un motore non movente nella natura, così nella metafisica dell’atto Dio viene considerato Colui che fa muovere la volontà. In questo senso, la dottrina della grazia (come quella della legge) è una teologia filosofica che appartiene alla metafisica dell’atto. Per capire il trattato sulla grazia, ha un’importanza di grande rilievo l’approfondimento della struttura parallela della conoscenza naturale e di quella soprannaturale. Come nella conoscenza naturale esiste un lumen naturale che fornisce un elemento a priori, così la luce della fede deve essere considerata come elemento a priori della conoscenza propria della fede, che rende possibile l’accettazione sia degli articoli di fede sia della conoscenza del fine ultimo. Per Tommaso ogni movimento che conduce da una possibilità a una realizzazione è condizionato originariamente da un moto divino. Il motore primordiale non causa questo movimento allo stesso modo del movimento di un essere fisico. Teologicamente parlando, si deve dire che, senza un moto divino, la libertà umana non potrebbe neanche esistere. Il moto della grazia è la condizione di possibilità della libertà umana (I-II, q. 109, a. 6). Gli esseri umani possono meritare qualcosa da Dio e dinanzi a Dio soltanto, quando essi hanno già ricevuto previamente il dono della grazia, cioè la grazia iniziale. Tommaso sostiene che ogni merito ha una grazia divina come presupposto e fondazione che viene anche chiamato il «principio dell’opera meritoria» oppure «grazia cooperativa» (I-II, q. 112, a. 2, ad 1). Il limite della dottrina tommasiana sulla grazia consiste nel suo uso frequente del «moto». La filosofia di Aristotele o più precisamente la fisica è stata qui trasferita al mondo della grazia e della libertà. Tuttavia, la questione è che l’essenza della grazia e della libertà può essere adeguatamente espressa con queste categorie della fisica. Lo stesso Tommaso, anche nel trattato sulla grazia, usa altre categorie come l’autocomunicazione e il dono (che trascendono il mondo di Aristotele) le quali sembrano più adatte al concetto di libertà e di grazia.

Stephen F. Brown, professore di teologia e direttore dell’Istituto di Filosofia e di Teologia Medievale presso il Boston College, presenta la prima virtù teologale che apre la Secunda secundae (II-II, qq. 1-16). La speranza viene esposta da Romanus Cessario O.P., professore di teologia sistematica del St. John’s Seminary (Brighton, Massachusetts). L’Aquinate sostiene che le virtù teologali seguono un ordine di progresso piuttosto che un ordine logico. La virtù della fede teologica perfeziona l’intelligenza umana, la speranza rappresenta per il credente il raggiungimento del bene ultimo che è Dio stesso. Per cogliere il significato della speranza, è utile ricordare alcuni presupposti antropologici che fondano il trattato di san Tommaso. Il filosofo tedesco Josef Pieper riassume le principali caratteristiche della speranza in quanto essa è un esercizio dell’appetito umano. «La speranza, come l’amore, è una delle più semplici disposizioni della persona. Nella speranza l’uomo raggiunge con cuore inquieto, con fiducia e con un’attesa paziente l’arduo “non ancora” del compimento sia naturale che soprannaturale». Tommaso distingue la speranza teologica da una semplice emozione di desiderio. Il desiderio, pur implicando un sincero movimento verso un bene futuro, non è una virtù teologica, perché non comporta nessun contatto spirituale con Dio. L’amore fondamentalmente significa voler bene a un altro (Cf. I, q. 20, a. 2). La tradizione tomista su questa base distingue due tipi di amore, l’amore di benevolenza (amor benevolentiae) e l’amore di desiderio (amor concupiscentiae). Benevolenza significa voler bene agli altri, oppure l’affetto disinteressato che caratterizza correttamente l’amore dell’amicizia (amor amicitiae). L’Aquinate cita nella Summa contra gentiles (SG III, cap. 153) la prima lettera di Giovanni: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Di conseguenza abbiamo speranza dal dono divino della grazia. È evidente che, come la speranza è la preparazione dell’uomo all’amore autentico di Dio così anche l’uomo a sua volta è fortificato nella speranza dalla carità. Questo testo spiega il collegamento organico tra le virtù teologali. Tutte e tre sono «qualità infuse» nell’uomo da Dio che cambiano profondamente le forze umane. Nel piano architettonico della Secunda secundae il trattato sulla carità occupa un posto centrale. Le ventiquattro questioni dottrinali (II-II, qq. 23-46), presentate da Eberhard Schockenhoff, professore di teologia morale presso la Albert-Ludwig Universität di Fribourg, costituiscono il culmine delle virtù teologali. In questo trattato sono sintetizzate le linee fondamentali dei concetti filosofici e teologici che Tommaso evidenzia nei singoli argomenti della sua etica speciale. Per la discussione dei movimenti della carità, come la virtù suprema tra le virtù teologali nella sua struttura antropologica è importante la distinzione dei vari fini dell’uomo. Gli atti umani hanno sempre un oggetto immediato, come «leggere un libro» o «fare una passeggiata». L’uomo orienta i suoi atti sempre verso un fine ulteriore e, in fin dei conti, verso il fine ultimo che è Dio. L’Aquinate concepisce l’unione tra Dio e uomo come amicizia. Come Dio si dona, concedendo di essere conosciuto a tutti nella fede e nella speranza sotto un determinato aspetto (nella prima virtù sotto la verità e sotto l’aiuto potente nella seconda), così la carità è indirizzata verso Dio. «La carità raggiunge Dio come Egli è in sé (II-II, q. 23, a. 6). Da qui la definizione teologica della carità che è l’amicizia con Dio. Tommaso, sulla base della carità divina, la chiama «una certa comunicazione della persona con Dio» (aliqua communicatio hominis ad Deum). L’espressione latina «communicatio» viene tradotta nelle lingue moderne con difficoltà. Essa comprende sia un aspetto attivo-dinamico sia quello intransitivo che viene compreso come possesso di una forma essenziale in comune. Applicando la «communicatio» all’amore divino essa significa avere cose in comune, nel senso che il Dio Unitrino offre a ognuno la sua beatitudine e invita l’uomo a far parte della sua vita divina. La carità dirige e forma tutte le altre virtù. Dove Agostino riconosce soltanto un’opposizione tra carità e cupidigia, oppure tra amor di Dio (amor Dei usque ad contemptum sui) e l’amore di sé (amor usque ad contemptum Dei), Tommaso afferma l’esistenza di una terza alternativa. Egli sostiene che le virtù di una persona, nel loro orientamento verso i beni particolari dell’agire umano, conservano il loro significato umano, che non è distrutto dall’assenza dell’amore. Per Tommaso il successo dell’agire umano non dipende esclusivamente dal suo orientamento al fine ultimo, ma anche da ciò che l’amore fa nel campo dei fini prossimi dell’agire. In questa interpretazione, l’assioma secondo cui «la carità è forma delle virtù» (caritas forma virtutis) dimostra un nuovo concetto teologico al quale la dialettica agostiniana tra libertà e grazia è estranea (II-II, q. 23, a. 8). Come la Rivelazione non spegne  la ragione naturale e la grazia non toglie la libertà umana, così la carità è attiva nella giustizia e tramite la giustizia, nel coraggio e tramite il coraggio e, infine, nella condotta prudente e tramite di essa. Tommaso, nella sua dottrina sulla giustificazione, si mette a confronto con l’antagonismo tra grazia e libertà (II-II, q. 113, a. 6). Se tramite l’effetto della carità gli uomini diventano amici di Dio, due cose possono accadere: Dio agisce in loro e rendono se stessi disponibili agli affari di Dio nel mondo con le loro capacità. L’analogia in cui natura e grazia, virtù e carità, felicità provvisoria e felicità perfetta rimangono in relazione tra loro segnala l’opinione tommasiana (II-II, qq. 25-26) sull’unità interiore tra l’amore di Dio, l’amore di sé e l’amore del prossimo (ordo caritatis). Se la felicità perfetta consiste nel fatto che l’uomo viene portato definitivamente da Dio, allora l’ordine della carità, che opera nel mondo, non è estraneo alla vita eterna, ma lì raggiunge la sua perfezione. A questo punto, la certezza cognitiva e speculativa di Tommaso raggiunge il suo limite, visto che egli deve tenere conto del fatto che le ragioni della vita quotidiana, che rendono degni gli uomini della carità reciproca, scompariranno alla presenza di Dio (II-II, q. 26, a. 13).

James F. Keenan S.J., professore di teologia morale presso il Weston School of Theology a Cambridge (Massachusetts), presenta la virtù della prudenza (II-II, qq. 47-56). La giustizia viene discussa (II-II, qq. 58-122) da Jean Porter, professore di teologia dell’Università di Notre Dame. Martin Rhonheimer, professore di etica e di filosofia politica del Pontificio Ateneo della Santa Croce (Roma) , tratta i vizi contro la giustizia (II-II, qq. 59-78). La virtù del coraggio (II-II, qq. 123-140) viene esplicata da R.E. Houser, professore associato del Centro per gli Studi Tomisti presso l’Università di San Tommaso a Houston (Texas). Diana Fritz Cates, professoressa associata della «School of Religion» dell’Università dell’Iowa, presenta la virtù della temperanza (II-II, qq. 141-170). L’ultimo tema della Secunda secundae, quello del carisma e degli stati di vita (II-II, qq. 171-189), è spiegato da Serge-Thomas Bonino O.P., direttore della Revue thomiste. La vita cristiana, argomento della Secunda pars, è una vita ecclesiastica per definitionem. La grazia santificante, una partecipazione creata e soprannaturale alla natura divina, stabilisce la comunione profonda tra quelli che la possiedono e assicura l’unità con il corpo mistico di Cristo. È opportuno che, dopo aver discusso nelle prime 170 questioni della Secunda secundae le virtù e i vizi che riguardano ogni uomo indipendentemente dal suo stato di vita, egli concluda l’esposizione della morale cristiana con uno studio su «quello che riguarda certi uomini in un modo speciale» (II-II, q. 171, Prol.). L’Aquinate è ispirato da Paolo (1 Cor 12-13) nel suo studio sui diversi compiti della vita ecclesiastica. Da questo brano Tommaso trae una struttura tripartita, presentata nella II-II, qq. 171-189. «Vi sono diversità di carismi (gratiarum), ma uno è lo Spirito; vi sono diversità dei ministeri (ministrationum), ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni (operationum), ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti» (1 Cor 12,4-6). Carismi, ministeri e operazioni costituiscono i tre campi delle attività ecclesiali con riferimento alle differenze sociali all’interno della comunità cristiana. Nella II-II, q. 186, Tommaso definisce la vera essenza della vita religiosa. L’espressione «vita religiosa» indica un’affinità particolare alla virtù morale della religione, attraverso la quale uno si è consacrato al servizio di Dio nell’adorazione e così si riconnette (re-ligare) a Dio. Quest’unione con Dio, che viene attualizzata dalla carità, Tommaso la definisce come perfezione cristiana. È giusto concludere la Secunda secundae con uno stato di perfezione, richiamando la carità nella vita cristiana. D’ora innanzi il teologo volge lo sguardo, nella Tertia pars, verso Colui che, nella concreta economia di salvezza è una sorgente di questa carità per tutti: Gesù il Cristo.

L’ultima parte del manuale si apre con uno studio sull’interpretazione contemporanea domenicana di San Tommaso, presentato da Thomas F. O’Meara O.P., professore di teologia dell’Università di Notre Dame. Raphael Gallagher C.Ss.R., professore invitato all’Accademia Alfonsiana (Roma), delinea gli aspetti caratteristici dell’interpretazione contemporanea di Tommaso da parte delle scuole gesuita e redentorista. Per la parola «scuola» qui non si intende un metodo uniforme che potrebbe essere interpretato come una corrente di pensiero univoco. All’inizio del secolo XX, il residuo del dibattito sterile sui sistemi morali nel tempo della proclamazione a Dottore della Chiesa di sant’Alfonso, sembrava classificare i gesuiti come scuola del probabilismo e i redentoristi come scuola dell’equiprobabi-lismo. La teologia morale, associata ad entrambe le scuole, è il risultato di una tradizione multiforme e in evoluzione, piuttosto che di una scuola univoca. È importante notare che la somiglianza tra queste due tradizioni supera le ovvie differenze, perché tutte e due si sviluppavano secondo la disciplina tridentina. L’origine della crisi dei manuali ha le sue radici nella predominanza della distinzione dei vari tipi di peccati sulla teologia della grazia. Di conseguenza l’influenza di Tommaso sui manuali è diventata irrilevante. Lo scopo dei manuali sono diventati i manuali stessi, e non il bisogno pastorale per cui sono stati creati. Il Concilio Vaticano II ha superato il dibattito sul rinnovamento dei manuali, il che comprendeva non soltanto il redentorista Bernahrd Häring, ma anche il gesuita Josef Fuchs. Secondo l’A. un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata da parte degli eredi dei manuali, a non usare la discussione su Tommaso per far risorgere gli inutili dibattiti sui sistemi morali oppure cercare di etichettare un autore più tomista dell’altro. Lo scopo di questa ricerca deve essere l’esame della tradizione dei manuali per verificare se essi rappresentano o meno un’espres-sione legittima del sistema teologico dell’Aquinate. Secondo il giudizio di Fergus Kerr, esistono argomenti della vita morale che non sono stati esplicitamente trattati da san Tommaso. Una morale fondata sulle virtù richiede un linguaggio più ricco e più variegato rispetto a quello di una morale fondata sugli atti e sulle norme. La lettura di Tommaso non può essere fruttuosa, se non viene accompagnata da altri autori che usano un linguaggio più direttamente associato all’esperienza. L’introduzione del concetto di esperienza può aiutare gli eredi della tradizione manualistica a ridefinire quella tradizione senza cadere negli errori della casistica. Tanto è difficile delineare una teologia morale come scienza della crescita della persona quanto più le visioni positive non possono derivare da una premessa negativa, cioè focalizzata sulle norme. La Gaudium et spes fornisce una matrice per gli eredi dei manuali casistici a sviluppare un dialogo creativo con Tommaso. «Dopo aver esposto di quale dignità è la persona dell’uomo e quale compito, sia individuale che sociale, è chiamato a svolgere nell’universo, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana, richiama ora l’attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che più di tutti preoccupano l’umanità» (GS 46). La rilevanza di questa prospettiva offerta agli eredi dei manuali è doppia. La prima spiega come il problema dell’identificazione della volontà di Dio a una rappresentazione materiale della legge può essere superata e, di conseguenza, vengono superate tutte le riduzioni della persona umana a un mero oggetto e esecutore della legge. La seconda rilevanza, attraverso il concetto di esperienza compreso come sensus fidei, esprime che la moralità è posta nella persona in quanto soggetto. Il genio delle scuole gesuita e redentorista sta in relazione con la visione dei dilemmi di coscienza che insorgono nelle persone che si impegnano a operare il bene morale. La realizzazione di questo genio ha bisogno di una fondazione teologico-pastorale nuova, visto che i problemi morali sono oggi molto complessi. I manuali, a volte, riducono questi problemi alla questione di verità e di essere veritieri, per esempio a un semplice discorso sul mentire.

La filosofia morale tomista del secolo XX viene presentata da Clifford G. Kossel S.J, professore emerito di filosofia dell’Università Gonzaga. Thomas S. Hibbs, professore associato di filosofia presso il Boston College, discute l’interpretazione dell’etica tommasiana dopo il Concilio. L’insegnamento dell’Aquinate sulla determinazione della bontà morale e sul giudizio delle conseguenze è esplicato da Ludger Honnefelder, professore di filosofia dell’Università di Bonn. Nell’ultimo studio, Frederick G. Lawrence, docente del Boston College, tratta la problematica postmoderna di teologia ed etica: il rapporto tra Lonergan e Tommaso. Modernità qui si riferisce a quello che Hans Blumenberg ha chiamato «affermazione di sé dell’uomo», che è una reazione all’assolutismo teologico dell’epoca tardo medievale a partire da Duns Scoto, attraverso Guglielmo d’Ockham, fino ai teologi della Riforma come Lutero e Calvino, nonché lo scolasticismo barocco della controriforma. La preoccupazione centrale dell’epoca postmoderna è lo spostamento del soggetto. La critica della modernità di Étienne Gilson, Jacques Maritain, Hans-Georg Gadamer, Paul Ricoeur, Alasdair MacIntyre e Emmanuel Lévinas concorda spesso con una rinnovata comprensione della filosofia e teologia premoderna, perché essa non condivide l’individualismo possessivo e il soggettivismo della modernità. Può sembrare sorprendente che tutto questo valga anche per Bernard Lonergan S.J. La sua idea sulla teologia e sul metodo è un esito ricco di uno scambio complesso con Tommaso che comprende un’ermeneutica di teoria, di interiorità cognitiva, pratica e esistenziale. Se l’etica cristiana fa parte della teologia come mediatrice tra una matrice culturale e il significato e ruolo di una religione in essa, il suo rapporto con l’Aquinate non può essere un argomento di carattere soltanto autoritario. Per «metodo» Lonergan intende l’appropriazione e articolazione dei fondamenti della prassi teologica nel suo orizzonte globale. Lonergan sostiene che il metodo libera l’uomo dalla necessità di essere genio nel suo lavoro, ma allo stesso tempo il metodo approfondisce la richiesta di un’autenticità personale e comunitaria.

Il manuale recensito è uno strumento di grande valore che copre veramente una lacuna per i docenti grazie ai suoi autori eruditi e ai suoi giudizi equilibrati. Tuttavia, questo volume potrebbe essere completato da uno studio comparativo tra il patrimonio etico tommasiano e quello francescano.



 
 
 
 
 
 
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