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Rivista Antonianum
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Foto Schoch Nikolaus , Giornata di studio della facoltā di diritto canonico, in Antonianum, 73/3 (1998) p. 621-624 .

Martedì, 19 maggio 1998, dalle ore 16.00 alle 19.00 si è tenuto presso il Pontificio Ateneo Antonianum in Roma, un incontro di studio organizzato dalla Facoltà di Diritto Canonico e intito­lato "Il primo Codice di Diritto Canonico. A ottanta anni dall'entrata in vigore (1918 - 19 maggio - 1998)".

Nonostante la specificità dell'argomento si notavano tra una quarantina di uditori anche studenti di varie facoltà. Tutte le relazioni furono tenute dai professori della stessa Facoltà di Diritto Canonico del Pontificio Ateneo Antonianum a Roma. Gli uditori hanno seguito con grande interesse e attenzione le relazioni sapendo che la storia recente della Chiesa è, in qualche modo, anche la storia di ognuno di noi.

L'incontro venne moderato dal Prof. Viktor Papez, Pro-Decano della Facoltà di Diritto Canonico che introdusse all'argomento: Pochi giorni dopo l'elezione, al neo-eletto Papa Pio X si presentò il cardinale Gasparri in qualità di Segretario della Sacra Congregazione per gli Affari Straordinari della Chiesa per esprimergli gli auguri e chiedergli la benedizione apostolica. In quella occasione il Papa gli fece la domanda: "Che cosa sarebbe necessario fare adesso?". Il Cardinale rispose: "Santità, sarebbe necessario elaborare un Codice di Diritto Canonico". "E' possibile farlo?", domandò il Papa. "Sì, è possibile", disse il cardinale, "il lavoro sarà lungo, arduo e faticoso, ma molto utile per la Chiesa". E il Papa: "Fatelo, se non sarò io a promulgarlo, sarà il mio successore a farlo". Così, appena una settimana dopo la sua elezione a Papa, Pio X decise di far elaborare un Codice per la Chiesa Latina universale. Il 19 marzo 1904 emanò il motu proprio che cominciò con le significative parole: "Arduum sane munus" e istituì la Commissione. Pio X non ebbe la gioia di promulgarlo; fu il suo successore Papa Benedetto XV che diede alla Chiesa il primo Codice di Diritto Canonico il 18 maggio 1917 con la costituzione apostolica "Providentissima Mater". Il 19 maggio 1918 - dunque esattamente 80 anni fa - questo Codice è entrato in vigore nella Chiesa Latina universale.

A questo avvenimento importantissimo la nostra Facoltà di Diritto del PAA ha dedicato questo incontro di studio. Benché il Codice pio-benedettino sia stato "adattato", ossia usando le parole di Giovanni XXXIII, "aggiornato" con il nuovo Codice del 1983, tuttavia esso rimane una fonte perenne e autorevole per lo studio e per la giusta comprensione della mens legislatoris et ratio legis del Codice attuale. Da autorevoli giuristi (per es. il Card. Serédi) esso venne infatti giudicato come un'opera giuridica persino più importante delle Decretali di Gregorio IX. Il Santo Padre Giovanni Paolo II d'altra parte ci mette in guardia contro una nostalgia verso il Codice abrogato che potrebbe portare "qualcuno ad una specie di identificazione con le norme in esso contenute, che verrebbero considerate migliori e più meritevoli ... di quelle del nuovo Codice che sarebbe letto quasi esclusivamente alla prospettiva dell'anteriore... Questo atteggiamento, anche se psicologicamente molto spiegabile, può spingerci fino ad annullare quasi la forza innovatrice del nuovo Codice..." (Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 26 gen. 1984, AAS 76 [1984] 648).

E' vero che il Codice precedente nacque in un epoca in cui era presente molto evidentemente il positivismo giuridico del XIX secolo e il "mito" dei codici, delle codificazioni, al quale influsso è stato esposto anche il Codice pio-benedettino. Gasparri e i suoi collaboratori avevano una profonda ammirazione per le codificazioni civili, in modo particolare, per il Codice di Napoleone del 1804, e fin dal principio delle discussioni preliminari era fermo nella loro mente il proposito di redigere il diritto della Chiesa ad formam recentiorum codicum. Però, in fondo, questa commissione rimase fedele alla natura propria della Chiesa. Il Codice, che per sei decenni occupò un posto centrale nella struttura della Chiesa, aveva anche dei difetti e dei limiti, i quali, già prima e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, provocavano una forte avversione verso il diritto e una incomprensione per la necessità della legge nella Chiesa spingendo a chiedere una Chiesa "di carità e non di diritto". Si lottava contro un "giuridicismo" che, però, è stato poi superato definitivamente con il nuovo Codice, il quale esprime con linguaggio giuridico l'autentica immagine teologica della Chiesa del Vaticano II.

a) Prima relazione: "Dal Code Napoléon al Codex Iuris Canonici" del Prof. Heinz-Meinolf Stamm ofm. Nel 1804 venne pubblicato il Code Napoléon, il primo codice civile nella forma moderna. Seguirono ben presto dei codici civili moderni di molti altri paesi  d'Europa e di oltremare. Nel 1903 anche la Chiesa emulò l'esempio del diritto civile. Il Papa Pio X decretò l'inizio dei lavori preparativi per un codice di diritto canonico nella forma moderna. Dopo quattordici anni di intenso impegno il Codex Iuris Canonici potè venir emanato dal Papa Benedetto XV ed entrò in vigore il 19 maggio 1918, dunque oggi esattamente 80 anni fa. Rimase in vigore per 65 anni fino al 27 novembre 1983, quando gli succedette il nuovo Codex Iuris Canonici. Ma anche oggi è sempre un documento di grande importanza storica: il primo codice moderno della Chiesa.

b) Seconda relazione: "Caratteristiche fondamentali della normativa sulle associazioni dei fedeli nel Codex pio-benedettino, con speciale riferimento ai Tertii Ordines Saeculares” del Prof. Priamo Etzi ofm. Dopo aver enunciato molto sinteticamente le novità principali introdotte dal nuovo Codice in materia di associazioni di fedeli, ha presentato la normativa del Codice pio-benedettino parlando delle tre specie di associazioni ivi ammesse (tertii ordines, confraternitates, piae uniones) e il criterio di distinzione delle medesime determinato dalla qualità dell'intervento dell'autorità competente (erectio, adprobatio, commendatio). Il Prof. Etzi ha pure evidenziato che la stretta visione che il CIC del '17 offriva del fenomeno associativo, in cui è facilmente rilevabile la pretesa di costringere entro gli schemi formali delle tre specie in esso regolate fenomeni tra loro molti diversi, corrisponde a una visione ecclesiologica in cui sembrava che l'unico elemento attivo fosse quello gerarchico (mancava una sufficiente dottrina del laicato). Tra l'altro ha rilevato che una così rigida configurazione giuridica fu presto messa in discussione o quanto meno resa problematica da un'importante risposta della S. C. del Concilio, la Resolutio Corrientensis del 13 novembre 1920 in cui si distingueva tra associazioni ecclesiastiche e associazioni laicali.: le associazioni laicali sono vere associazioni "nella" Chiesa, ma non "della" Chiesa in quanto non costituite dall'autorità ecclesiastica. Esse pertanto, per il loro fine spirituale o pio, fanno ugualmente parte dell'ordinamento giuridico-canonico, anche se alla stregua dei singoli fedeli.

Il CIC del 1917, ha spiegato il relatore, pur non sancendo formalmente il diritto di associazione, come farà il CIC '83 nel can. 215, nemmeno lo coarta e tanto meno lo nega; il suo limite vero, perciò, è la non esplicita affermazione e il non incoraggiamento del fenomeno associativo. Alla fine Prof. Etzi, sulla scorta del can. 702 § 1, ha presentato le caratteristiche principali e peculiari dell'associazione di fedeli più importante nel vecchio Codice: i Terzi Ordini di cui egli è specialista per aver scritto la tesi e alcuni articoli sull'argomento.

c) Terza relazione: "La libertà  religiosa nel Magistero della Chiesa" del Prof. Martino Sardi ofm. L’insegnamento sulla libertà religiosa si trova tra i documenti del Concilio Vaticano II, in special modo nella dichiarazione "Dignitatis Humanae" e nel decreto "Ad gentes". In questi documenti l’espressione della libertà religiosa si fonda sulla natura umana, cioè sulla dignità della persona umana. La libertà religiosa è un diritto fondamentale della persona umana, un diritto inerente o inseparabile della natura umana stessa: per questo motivo essa deve essere rispettata da tutti. Per il Vaticano II la libertà religiosa significa che tutti gli uomini sono liberi di cercare la verità su Dio, e per questo la Chiesa proibisce severamente di costringere qualcuno ad abbracciare la fede cattolica contro coscienza (cfr. DH, 2; AG.3).

Il Codice di Diritto Canonico del 1983 ha codificato anche la libertà religiosa, come mostra il canone 748, § 1-2. Il Codice indica un obbligo per tutti gli uomini di cercare la verità su Dio e la sua Chiesa. Nella vita concreta, molti uomini non possono arrivare a questa conoscenza oppure credono in un’altra religione. Però il Codice afferma che se gli uomini conoscono la verità che riguarda Dio e la sua Chiesa hanno l’obbligo dalla legge divina e il diritto d’abbracciarla e di osservarla. L’uomo è persona umana in quanto detiene una libertà responsabile.

La libertà religiosa è, pertanto, un diritto fondamentale dell’uomo. Dalla stessa dichiarazione, il Vaticano II afferma che non lo si deve costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso (DH, 3). Il decreto "Ad gentes" sottolinea che la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo che rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni dalla fede stessa sia distolto. Secondo una prassi antichissima della Chiesa, i motivi della conversione devono essere esaminati, e, se necessario, rettifica­ti (cfr. AG, 13), e che nessuno quindi può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura (cfr. DH, 10).

Questo è l’atteggiamento della Chiesa verso la libertà religiosa. La Chiesa non vuole e non deve costringere gli uomini ad abbracciare la fede cattolica. L’atto di fede è atto della persona, atto della libertà responsabile e atto di rispondere alla chiamata di Dio stesso.

d) Quarta relazione: "I diritti del penitente nell’atto del sacramento della confessione" del Prof. Viktor Papez ofm. Il relatore partiva dal can. 682 del CIC 1917 e dal can. 213 del CIC 1983 dove si afferma un diritto "fondamentale" dei fedeli a ricevere i sacramenti dai Ministri sacri legittimamente deputati ad amministrare i mezzi necessari ai fedeli per realizzare la propria vocazione alla santità e per raggiungere lo scopo ultimo. Se i diritti del penitente nel vecchio Codice furono piuttosto "coperti" con il dovere dei chierici  di amministrare i sacramenti ai fedeli, questi diritti nel nuovo Codice Canonico sono più espliciti; ad es. il penitente ha il diritto di confessare i propri peccati al sacerdote legittimato e nel tempo più comodo per il penitente (can. 959; 965; 966; 986); ha il diritto alla libera scelta del confessore (can. 991; 240; 630; 985; 844); ha il diritto alla confessione sacramentale individuale, personale (can. 960), un diritto tante volte ribadito dal Papa Giovanni Paolo II; ha il diritto di ricevere il Sacramento della Penitenza secondo il rito stabilito dalla Chiesa e in conformità con le norme prescritte dalla competente autorità ecclesiastica (can. 837; 964; 978); ha il diritto alla propria intimità, all'anonimato, alla discrezione (can. 220; 240; 630; 984; 985; 964). Al penitente non può essere negata o rimandata l'assoluzione sacramentale se è ben disposto, chiede il Sacramento opportunamente e non abbia dal diritto il divieto di riceverlo (can. 843). Il Confessore in questo caso è obbligato ad amministrare l'assoluzione ex iustitia.

e) Quinta relazione: "Forma, effetti e scioglimento della promessa del matrimonio: un confronto tra la legislazione canonica del 1917 e quella attuale" del Prof. Nikolaus Schöch ofm. Il Codice Canonico del 1917 introdusse una novità fondamentale nella disciplina della promessa del matrimonio, cioè l'improponibilità di un'azione contro il fidanzato inadempiente la promessa anche in caso di una rottura unilaterale del fidanzamento senza giusta causa. Lo stesso Codice ha tolto l'impedimento dirimente della pubblica onestà scaturito non solo dal matrimonio putativo ma anche dal fidanzamento ed ha inoltre abrogato l'impedimento impediente delle nozze con una terza persona perdurante il fidanzamento. Con tale notevole riforma ha accolto i suggerimenti della legislazione civile, specialmente quella civile spagnola del 1803. Il can. 1017 ha introdotto anche una forma per la celebrazione della promessa del matrimonio vincolante per la Chiesa universale la quale recepì dai codici civili l'obbligatorietà della forma scritta ad validitatem.

La giornata di studio si è conclusa con un dibattito, mo­derato dal Prof. P. Viktor Papez ofm, con varie domande ed in­ter­venti da parte degli uditori e risposte da parte dei relatori.


 
 
 
 
 
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