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Rivista Antonianum
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Foto Pelliccia Valentina , Recensione: FLAVIA MARCACCI, Alle origini dell'assiomatica: gli Eleati, Aristotele, Euclide, in Antonianum, 83/4 (2008) p. 696-699 .

In quest'opera di carattere storico-teoretico Flavia Marcacci ricostrui­sce le origini dell'assiomatica risalenti all'età classica, mettendo in risalto il fatto che i Greci non hanno avuto la pretesa di sviluppare la matematica, a prescindere dal riconoscimento del mondo quale fondamento di tale scienza teoretica. Infatti, tanto Aristotele, che ha sviluppato un sistema assiomatico-deduttivo per la ricerca delle essenze, quanto Euclide, che ha stabilito una indipendenza formale fra matematica e metafisica, si sono prefissati quale obiettivo la comprensione sapienziale di quel mondo che è dato ed è il pre­supposto della stessa scienza in quanto sua causa. La diversa autorevolezza che Aristotele ed Euclide attribuiscono alla metafìsica nel discorso matemati­co non permette di poter affermare, dopo la lettura dell'opera Elementi, «che Euclide ritenesse la geometria capace di "creare il mondo": la sua volontà di renderla autonoma e abile a progredire senza metafìsica non significa che il sostrato dal quale si originava non fosse ontologico. In questo senso lo scibile greco non lo avrebbe potuto certo depistare» (p. 291). Il mondo e la sua "spiegazione ultima" tracciano le linee principali del pensiero antico, al punto da poter rilevare che «in generale tutto il pensiero antico è un "pensie­ro delle essenze", che cerca la spiegazione ultima delle cose nell'essenza delle cose stesse, considerata causa del loro venire in essere» (p. 21).

Il desiderio della conoscenza sapienziale induce i Greci a riconoscere la matematica quale "ponte" per giungere ad essa; l'assiomatica greca non perde di vista il valore di verità delle proprie proposizioni: essa, infatti, si basa su assiomi e definizioni giudicate vere con il ricorso dell'astrazione e si sviluppa mediante l'uso di deduzioni volte a dimostrare la validità di alcune proposizio­ni (cf. p. 23-25). Il valore di verità delle proposizioni del ragionamento carat­terizza l'opera aristotelica degli Analitici, tanto che la Marcacci, utilizzando il linguaggio dell'ontologia formale contemporanea, definisce la logica aristote­lica «una logica dei termini a base intensionale» (p. 119). L'autrice avvalora la tesi che «si potrebbe specificatamente dire che la logica esposta negli Analitici sia una vera e propria ontologia formale, fornendo gli strumenti logici e for­mali per indagare l'ente» (ibidem). Nell'affrontare la diversità delle scienze, lo Stagirita non ha mai escluso un richiamo al referente e al linguaggio metafisico, in quanto fondamento di ogni tipo di astrazione; per questo motivo, in riferi­mento alla matematica la Marcacci evidenzia che in Aristotele: «la matematica si pone in una posizione privilegiata in questo passaggio dal concreto all'astrat­to. Il tono di "perfettibilità" dei suoi assiomi è chiaramente stemperato, poiché l'ente matematico è un ente di pensiero e dunque è incluso già nell'ambito dell'astrazione. Ma nulla toglie che sia appunto la realtà esterna [al soggetto] ciò da cui bisogna astrarre, e dunque questo possa creare nuovi enti e nuove proposizioni matematiche» (p. 232). Nel riassumere la posizione di Aristotele a riguardo dello stretto legame fra matematica e metafisica possiamo dire con le parole dell'autrice: «l'ente matematico è perfettamente presente nella realtà ma totalmente contenuto nel pensiero: da un punto di vista storico questa concomitanza di astratto e concreto nella matematica è stata notata da Talete fino agli Accademici, e converge in Aristotele in una forma logica e metafisica decisamente più compiuta» (p. 241).

Nel raffrontare l'idea di matematica posseduta da Aristotele con quella elaborata dall'epoca moderna, la Marcacci evidenzia la differente scelta epistemologica per la fondazione degli assiomi, quale elemento di disgiunzione fra le due concezioni. Per Aristotele gli assiomi sono ricavati per induzione e l'esperienza fa da garante per l'autenticità dei primi principi scelti, pertan­to la matematica «non deve mirare a teoremi astratti e partire da postulati di evidenza formale, ma aiutare la comprensione sapienziale della natura. L'ideale moderno è opposto a quello di Aristotele, perché vuol ridurre la conoscenza al modello matematico. [Al contrario] per Aristotele viene prima réjwreipia poi il cogitimi» (p. 241). Nonostante Euclide abbia eliminato per la geometria ogni contenuto materiale e rimando al pratico, aumentando in questo modo il carattere di astrattezza della matematica a confronto di Ari­stotele, non è possibile, anche per ragioni di ordine testuale, riscontrare in Euclide la pretesa di rendere le scienze matematiche in grado di giustificare da sole tutto il reale: da ciò la distanza con l'epoca moderna, nella quale è possibile rilevare che «dopo il matematismo seicentesco, non si poteva rinun­ciare a ridurre il mondo ad una struttura matematica» (p. 284).

Nell'accurata analisi degli Analitici e degli Elementi, l'autrice presenta le assiomatiche ivi descritte da Aristotele e da Euclide. Questo lavoro di analisi è introdotto da una ricostruzione della "storia delle idee" che la Marcacci affronta con la "prudenza" tipica degli storici, i quali, consapevoli dell'im­possibilità metafisica del rendersi presente del passato, sanno di muoversi nel campo del verosimile. La conoscenza delle fonti antiche e degli studi critici già consolidati, che manifestano l'erudizione della giovane autrice, permet­tono alla Marcacci di presentare un "percorso delle idee" (a partire dal VI secolo av. Cr.) che in qualche modo è riuscito a influenzare le intuizioni, i giudizi e le posizioni del filosofo Aristotele e del matematico Euclide circa l'elaborazione dell'assiomatica.

In questa ricostruzione storica, ricca di particolari e di rimandi e confronti bibliografici (cf. p. 37-107), la Marcacci evidenzia il contributo che Parmenide e in generale gli Eleati hanno dato alla elaborazione dell'assio­matica, mediante la loro idea di "dimostrazione rigorosa": «idea che tra tutte le discipline e le scienze contraddistingue la matematica» (p. 64). A partire dall'esame del Poema di Parmenide l'autrice scrive: «La forza persuasiva del discorso della dea non si basa certo sulla trascendenza del sapere di cui è de­positaria, bensì sull'evidenza del ragionamento e su passaggi deduttivi [...] Inutile dire quanto tutto ciò sembri anticipare le regole dell'assiomatica: por­re premesse, svolgere l'argomento in demostrandum e conseguire la certezza del provato. Con Parmenide [...] la forza di un sapere va a risiedere nella capacità di dimostrarlo» (p. 65-66). E ancora, sottolineando il rimando al mondo quale fondamento del ragionamento: «Parmenide radicalizza la differenza tra verità e opinione, ma per proclamare quanto radicalmente l'una serva all'altra. Si tratta di ricondurre la molteplicità delle opinioni alla verità, ovvero alla ratio più profonda che possa darsi: la ratio dell'essere. Tutto ciò che è Sòia, prima di essere Só|a deve essere: e l'essere (enti) è ciò che accomuna tutti i fenomeni, e la ragione deve muoversi per comprenderne la sostanziale unità, espressa dal fatto che i fenomeni sono. E sono anche nella loro alterità, nella loro diversità» (p. 68).

Ulteriore elemento di originalità di questo lavoro storico sviluppato nel­l'ambito del pensiero scientifico è la presenza del filosofo eleatico Melisso (cf. pp. 70-79), dal momento che la Marcacci evidenzia il valore della sua intuizione di formalizzare il linguaggio scientifico. Scrive l'autrice: «rispetto al maestro [Parmenide], Melisso intraprende una strada nuova [...]: inven­ta un vero e proprio linguaggio, una prosa specifica per parlare dell'essere. Parmenide ricorreva ancora alla poesia, probabilmente per rimarcare la sua figliolanza con le antiche tradizioni o per rendere più accettabile dal pubbli­co il suo Poema. Melisso abbandona la "farsa" poetica e trapianta il "discorso sull'essere" nell'ambito del parlare scientifico» (p. 74). L'importanza della "formalizzazione", che richiede l'osservanza di regole proprie, e il rigore della deduzione sono il patrimonio concettuale che Melisso ha lasciato in eredità per l'elaborazione delle scienze e per la stessa assiomatica. Certo sappiamo come, invece, le sue dimostrazioni dal carattere ipotetico-deduttivo siano sta­te criticate aspramente da Aristotele, in quanto ritenute inammissibili come modello per le premesse delle scienze, le quali, al contrario, «per sviluppare un sistema di deduzioni occorrfe] [che esse siano] controllabili, anche solo parzialmente, e per questo assumibili» (p. 74).

Nonostante le difficoltà che contraddistinguono tutte le ricerche stori­che, a motivo della complessità della ricostruzione documentata dei fatti, il lavoro della Marcacci si presenta giustificato in ogni proposta interpretativa avanzata. La ricca bibliografia e i numerosi richiami alle fonti danno forza alle affermazioni dell'autrice, la quale non manca mai di far dialogare il pas­sato con il presente, offrendo uno sguardo di comprensione del dibattito contemporaneo sul tema dell'assiomatica, a partire dagli elementi che costi­tuiscono la sua ricostruzione storica delle sue origini. Lo stile argomentativo della Marcacci permette una comprensione dei contenuti anche nelle pieghe più complesse della trattazione, e questa qualità espositiva denota la capacità di sintesi dell'autrice che con padronanza affronta un argomento di non faci­le accesso e con audacia si sa inoltrare in un vasto campo di indagine.


 


 


 
 
 
 
 
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