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Revista Antonianum
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Foto Mailleux Romain , Inaugurazione dell'Anno Accademico 1989-1990: I. Relazione del Vicario Generale e Vice Gran Cancelliere del P.A.A., in Antonianum, 64/4 (1989) p. 625-635 .

Il giorno 8 novembre 1989 si è svolto, come negli anni precedenti, l'Atto ufficiale di inaugurazione dell'Anno Accademico 1989-1990 e di commemorazione del Ven. Giovanni Duns Scoto.

Sono state lette le seguenti relazioni.

Relazione del Vicario Generale e vice Gran Cancelliere Opus iustitiae pax (Is 32, 17)

La sensibilità del mondo moderno sembra particolarmente at­tenta ai problemi della giustizia e della pace. Ma c'è da chiedersi se non sia più attenta ai problemi della pace, che a quelli della giustizia. Forse la sensibilità di oggi è ferma alla concezione di una giustizia condizionata dalla passione sindacale e sociale, anziché aperta alla ispirazione religiosa e alla Parola di Dio creatore.

Si ha l'impressione che si tratti di una sensibilità a livello emo­zionale, in difesa di una « pace », posta a salvaguardia di un mondo del benessere, che si è appropriato (in mille modi) delle ricchezze che Dio ha donato per la dignitosa sussistenza di ogni uomo. Non sarei tanto sicuro se tale sensibilità a livello emozionale non sia prevalente anche nella ricerca e nell'impegno per la giustizia e pace così sentiti anche da noi francescani.

Dinanzi a questo problema, si impone la necessità di assumere una posizione senza compromessi: servire la pace come conquista della giustizia e non servire la pace come conquista dell'egoismo e della prepotenza.

1) L'opus iustitiae ci interpella come cristiani

S. Agostino constata che la pace è l'aspirazione a un « bene » a cui tendono tutti gli uomini. Anche chi combatte per una causa iniqua, anela alla vittoria finale per godere della pace iniquamente conquistata. Anche l'empio, osserva S. Agostino, vuole la pace, ma non ama la pace della giustizia. Non si può amare qualsiasi pace: non amare tamen qualemcumque pacem nullo modo potest (De ci-vitate Dei,  19,  12, 2;  PL 41, 639).

S. Agostino identifica il concetto di pace con il concetto di giu­stizia: Ibi erit perfecta iustitia, ubi perfecta pax (Enarrationes in Psalmos. Ps 147, 20; PL 37, 1930). Dove non c'è giustizia non c'è pace, in quanto senza giustizia si ha il sovvertimento di ogni consociazione umana: Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latro-cinia? (De civitate Dei, 4, 4;  PL 41, 115).

Ogni discorso sulla pace non può prescindere dal fatto che la pace è creata dalla giustizia, come esigenza insopprimibile di rico­noscere i diritti di Dio e i diritti dell'uomo, sempre e comunque, da1 momento del suo concepimento fino alla conclusione naturale del' sua esistenza.

In quanto l'uomo è una « individua substantia naturae rat lis » (Severino Boezio, Liber de persona et duabus naturis, 3; PL 1343), si costituisce centro (persona) di diritti e di doveri nei ri­guardi di Dio e nei riguardi dell'uomo: gli esseri che non hanno la consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri appartengono al mondo degli animali.

L'uomo viene offeso nella propria dignità di essere ragionevole, non soltanto quando gli viene conculcato l'esercizio dei propri di­ritti, ma anche quando gli viene conculcato l'esercizio dei propri doveri.

A livello umano, la coscienza giuridica dell'uomo si esprime nella concordia ordinata dei propri diritti e dei propri doveri, con i diritti e i doveri dei propri simili. La pace è il frutto (opus) di questa ordi­nata   concordia  operata   dalla  giustizia.

In quanto la pace è l'opus della ordinata concordia dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, il concetto di « pace » non può essere strumentalizzato a livello di unilateralità: la pace non si con­segue vincendo, ma convincendo, ossia vincendo insieme le difficoltà che   si   oppongono  all'ordinata   concordia   della   convivenza  umana.

In ragione dell'ordinata concordia che persegue la giustizia, S. Agostino definisce la pace come « tranquillitas ordinis » (S. Agostino, De civitate Dei, 19, 13, 1; PL 41, 640: Pax omnium rerum, tran­quillitas ordinis. Ordo est parium dispariumque rerum sua cuique loca tribuens dispositio). In quanto la pace non è possibile senza l'ordinata concordia dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, ogni discorso giuridico si deve intendere come coefficiente di pace: non c'è pace senza giustizia e non c'è giustizia senza tutela giuridica dei diritti e dei doveri di ogni uomo.

I principi che regolano l'ordinata concordia dei diritti e dei do­veri di tutti gli uomini procedono dalla « legge eterna » che regge la ordinata concordia di tutto il creato. A questo proposito S. Tom­maso afferma che: « Oportuit igitur per legem divinam iustitiae prae-cepta dari, ut unisquisque alteri redderet quod suum est, et absti-neret a nocumentis alteri inferendis » (Contra Gentes 3, e. 128).

In ragione della legge eterna che presiede all'ordinata concor­dia di tutto il creato, l'uomo, costituzionalmente preordinato alla convivenza sociale con i propri simili, deve prendere atto della pro­pria limitatezza nella realizzazione della propria personalità: per la realizzazione della propria personalità, l'uomo deve tradursi in un dono per i propri simili e deve accettare ogni uomo come un fratello.

Ogni discorso interpersonale tra uomo e uomo deve partire da questo dono offerto, e accettato. Per essere pienamente se stesso, l'uomo ha bisogno dell'uomo, senza accreditare l'illusione di utopi­stiche autonomie.

La società è l'unione di più individui con lo scopo di conseguire un comune intento (unio plurium ad eundem fìnem): in questo caso, aiutare l'uomo ad essere se stesso.

Le relazioni interpersonali di reciproco aiuto passano attraverso la via della giustizia e dell'amore fraterno (caritas). La giustizia è ordinata alla carità e la carità senza la giustizia non esiste.

E' stato detto che il diritto sta all'amore fraterno come il sur­rogato sta al buon caffé: il surrogato non si sostituisce alla genui­nità del prodotto in chiave di opposizione, ma in chiave di supplenza: l'amore non è oggetto di imposizione e la sua maturazione presup­pone una lunga stagione.

S. Agostino, che ha definito la pace come « tranquillitas ordinis », osserva che: « Ubi autem sana fides non est, non potest esse iusti-tia... similiter ubi charitas non est, non potest esse iustitia » (De sermone Domini in monte, 1, 5, 13; PL 34, 1236).

Se non c'è giustizia senza amore fraterno (caritas), non ci si può illudere che senza l'amore fraterno ci possa essere la pace: « sine charitate nulla pax est: et manifestum est quia qui diverserunt pa­rerò non habent charitatem » (S. Agostino, Enarrationes in Psalmos, Ps 127, 15; PL 37, 1685).

In ragione della legge eterna che stabilisce l'ordinata concordia dei diritti e dei doveri di tutti gli uomini, la guerra non gode di nessun diritto e tanto meno ci si può illudere che con la guerra si possa vincere la pace.

La tutela della pace è affidata alle opere della pace: « Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace » (Gc 3, 18).

Chi vuole la pace, deve compiere le opere della pace. La pace costruita sulla guerra è la pace della paura: si vis pacem para pa-cem, non bellum.

In base a questi principi emerge il fatto che l'uomo, nel dina­mismo di essere se stesso, è al centro dell'universo giuridico (di­ritto naturale, diritto divino-positivo, diritto civile, diritto canonico, ecc.): omne ius propter hominem (Hermogenianus, D. I, 5, De sta­tuto hom.,   1:   Hominum causa omne ius  constitutum).

L'universo giuridico si evolve intorno all'uomo a guisa di cerchi concentrici  (al centro c'è l'uomo).

Il nostro interesse in questo momento si fissa sul diritto (Legge mosaica e Profeti) che Cristo ha riepilogato nel precetto di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi e di fare agli altri ciò che vorremmo che fosse fatto a noi (Mt 7, 12).

S. Agostino trattando della costituzionalità divina ed umana del diritto, afferma che nel momento stesso in cui la mano del Creatore ha tratto dal nulla l'uomo, la Verità ha scritto nel fondo del suo cuore queste parole: « non fare agli altri quello che tu non vorresti che gli altri facessero a te ». Nessuno può ignorare questo precetto, giudice e testimone la stessa coscienza dell'uomo (accusatrix con-scientia)  (Enarrationes in Psalmos, Ps 57, 1; PL 36, 673).

Il pensiero di S. Agostino entra nel discorso giuridico attra­verso il Maestro Graziano, che afferma: « Ius naturale est, quod in lege et evangelio continetur, quo quisque iubetur alii facere, quod sibi vult fieri, et prohibetur alii inferre, quod sibi nolit fieri. Unde Christus in evangelio: Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis. Haec est enim lex et prophetae » (Decretum Gratiani, D.  1, Dictum introductorium).

Il precetto evangelico che riepiloga tutta la legge e i profeti, pone l'uomo (il prossimo) come legge per l'uomo.

Aristotele aveva affermato che l'uomo (la sua dignità) è legge a se stesso (Aristoteles, Ethica, lib. 4, e. 8 (10): homo igitur politus et ingenuus sic erit affectus, quippe qui ipse sibi lex sit): Cristo afferma che l'uomo (l'altro) è legge per l'uomo. L'uomo è « legge » per l'uomo, in quanto creato da Dio a sua immagine e somiglianza: all'origine della coercizione di questa legge c'è l'esplicita volontà del Creatore.

In quanto l'uomo è legge per l'uomo, la « legge-uomo » costringe l'uomo ad uscire da se stesso per scendere sul piano della cooperazione con i propri simili. Nell'ambito delle relazioni di reciproco aiuto tra uomo e uomo, è giusto od ingiusto, a livello di soggettività giuridica, ciò che incontra un giudizio di conformità o di non-con­formità con la legge eterna, che ordina nella concordia tutto l'universo.

Del resto, sembra essere proprio questa l'implicazione della nor­ma dell'amore data da Dio: « Amerai... il prossimo tuo come te stes­so ». La « legge-uomo » nasce proprio qui. L'« uomo » che ciascuno riconosce, ama e serve con giustizia in se stesso è l'« uomo » che ognuno riconosce, ama e serve con giustizia nel fratello.

La « legge-uomo » è stata data all'uomo fin dal momento della sua creazione e ha informato tutta la sua storia, nelle sue relazioni con Dio e nelle relazioni con i propri simili.

Nell'Antica Alleanza la « legge-uomo » si è tradotta in un codice di vita nella mediazione di Mosè. Nella Nuova Alleanza la « legge-uo­mo » si è tradotta in codice di vita nella mediazione di Cristo. Il « tempo della promessa » e il « tempo del dono » (redenzione) sono due momenti della storia che salva l'uomo.

Il concetto di « alleanza » è un concetto di amicizia: tra amici non ci sono obblighi di giustizia:  ci sono obblighi di fedeltà.

Alla base della legge mosaica e alla base della legge evangelica c'è un patto di alleanza, fondato sull'amicizia tra Dio e il suo Popolo: con questo « patto » Dio e il suo Popolo si impegnano con un vincolo di reciproca appartenenza: Io sono il tuo Dio e tu sei il mio Popolo.

Alla base dell'ordinamento giuridico della Chiesa c'è il fatto giu­ridico di un'« alleanza »: coloro che si legano con un « patto di amicizia », si vincolano ad un reciproco rapporto di fedeltà (diritti e doveri).

Per la comprensione dell'ordinamento giuridico della Chiesa è necessario entrare nell'ottica di un discorso biblico e teologico.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, ricuperando il nesso tra foedus e lex (Alleanza e Codice dell'Alleanza) richiamava i giuristi a considerare la tridimensionalità del Diritto Canonico: accanto agli Atti del Concilio Ecumenico Vaticano II, c'è ora anche il nuovo Co­dice di Diritto Canonico, ma prima e aldisopra di questi due libri, quale vertice di trascendente eminenza, c'è il Libro eterno della Pa­rola di Dio, di cui centro e cuore è il Vangelo (Giovanni Paolo II, Alloc. del 3 febbraio 1983; AAS 75  [1983] 463).

Per risalire ordinatamente e coerentemente al supremo ed in­declinabile vertice della Sacra Scrittura, è necessario passare lungo i lati di questo ideale triangolo, senza negligenze ed omissioni, rispet­tando i necessari raccordi tra il Magistero dei precedenti Concili Ecumenici ed anche  (omesse, naturalmente, le norme caduche ed abrogate), quel patrimonio di sapienza giuridica, che alla Chiesa ap­partiene (Giovanni Paolo II, Alloc. citata, ed. e, p. 463).

Questo discorso sulla comprensione del Diritto Canonico è di capitale importanza, in quanto diversamente, non è possibile entrare nell'« anima » dell'ordinamento giuridico della Chiesa, se non si en­tra nella conoscenza della realtà teandrica della Chiesa.

Il Sommo Pontefice Paolo VI, che per gran parte ha guidato i lavori della nuova codificazione della legislazione canonica, poteva affermare con cognizione di causa che « Dopo il Concilio, il Diritto Canonico non può non essere in relazione sempre più stretta con la teologia e con le altre scienze sacre, perché è anch'esso una scienza sacra, e non è certo quell'« arte pratica » che alcuni vorrebbero, il cui compito sarebbe solo di rivestire di formule giuridiche le con­clusioni teologiche e pastorali, ad esso pertinenti. Con il Concilio Va­ticano II si è definitivamente chiuso il tempo in cui certi canonisti ricusavano di considerare l'aspetto teologico delle discipline studiate, o delle leggi da essi applicate. Oggi è impossibile compiere studi di Diritto Canonico senza una seria formazione teologica (Paolo VI, Alloc. 17 settembre 1973, in Insegnamenti di Paolo VI, voi. 11, Roma 1974, p. 846).

La « formazione teologica » di cui parla il Sommo Pontefice Pao­lo VI, deve aiutare i canonisti e i non-canonisti ad uscire dal com­plesso del giuridismo e deH'anti-giuridismo, che ha creato nel seno della  Chiesa  non  pochi  disagi  e  tensioni.

S. Paolo in polemica con i suoi connazionali che rifiutavano il Cristo, confidando nella giustificazione della Legge mosaica, è co­stretto a combattere la Legge mosaica che il Siracide aveva defi­nito come un munifico dono di Dio e la sua osservanza una vera sapienza (Sir. 24). Non poteva essere diversamente: con la realizza­zione della « promessa » la Legge della « promessa » doveva cessare: la salvezza non era più legata all'osservanza della Legge mosaica, ma era legata alla vita della grazia in Cristo Gesù. Nell'insegnamento Pao­lino quello che conta è lasciarsi rinnovare (essere nuove creature) nella nuova Legge della carità di Cristo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma (Kanon) sia pace e misericordia come su tutto l'Israele di Dio (GÌ. 6, 16).

La grazia ci libera dall'osservanza della « legge della promessa », ma non ci libera dall'osservanza della legge della giustizia. « Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?...avete obbedito di cuore a quell'insegnamento che vi è stato tra-^ smesso e così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giu­stizia»  (Rm.  6,  16-18).

2) L'opus iustitiae ci interpella come francescani

L'evento « Francesco d'Assisi » ha avuto nella Chiesa il significato di un ritorno all'ascolto non inquinato della Parola di Dio, manife­stata al mondo nell'annnuncio del Vangelo.

S. Francesco e i suoi primi compagni, che non hanno abbrac­ciato né la vita eremitica, né la vita monastica, né la vita canonicale, nell'ascolto immediato del Vangelo hanno voluto realizzare una nuova esperienza di vita evangelica, sull'esempio della vita di Cristo e degli Apostoli.

L'esperienza di vita evangelica, realizzata da Francesco e dai suoi primi compagni, a distanza di tanti secoli, costituisce ancora il pro­getto esistenziale della nostra vita.

In ragione di questo comune progetto, è giusto che la nostra gene­razione si confronti con le generazioni francescane che ci hanno pre­ceduto, sul piano del « servizio » per la giustizia e per la pace.

In questa sede questo confronto può essere soltanto abbozzato, ma bastano poche battute per evidenziarne tutto l'interesse e la pro­vocazione.

Al centro del confronto c'è l'uomo di oggi, che come l'uomo di tutti i tempi, ha bisogno di essere amato e ha bisogno di essere difeso nell'esercizio responsabile dei propri diritti e dei propri do­veri, nei riguardi di Dio e nei riguardi dei propri simili.

Attraverso tutte le sue componenti, la Chiesa si pone accanto all'uomo di oggi, come si è posta accanto all'uomo di ieri, in quanto costituita « sacramento » di salvezza per tutta l'umanità.

Per salvare l'uomo, la Chiesa deve essere attenta ai problemi dell'uomo e deve farsi accettare dall'uomo: deve rendersi credibile con le opere della giustizia e della pace.

Per rendersi credibile la Chiesa deve rimanere fedele alla pro­pria missione di salvare l'uomo, senza compromessi a livello di idee e di prassi.

L'uomo si salva nel rispetto della sua dignità e nel rispetto dei suoi diritti e dei suoi doveri; l'interesse per l'uomo, passa attraverso l'interesse giuridico per i suoi diritti e per i suoi doveri.

E' su questo « interesse giuridico » per l'uomo e per la Chiesa che si incentra il nostro confronto con le generazioni francescane che ci hanno preceduto:   ci si apre innanzi un mondo insospettato, che non può non essere motivo di compiacimento, ma anche di sti­molo per il nostro attuale servizio per l'uomo e per la Chiesa.

In un momento storico, in cui il diritto romano (meraviglioso nelle sue acquisizioni dottrinali, ma escogitato per imperare e non per servire) aveva prevalso sul Diritto Canonico, inquinando di se­colarismo le istituzioni ecclesiastiche; Fr. Ruggero Bacone (1214-1293), non esitava a scrivere al Papa Clemente IV (1265-1268), denunciando il fatto che per il prevalere nella Chiesa del diritto civile « iniuriae infinitae fiunt respectu unius iustitiae ». Inoltre, per le lungaggini amministrative della giustizia i poveri erano costretti a rinunciare alla trattazione delle loro cause  (pauperes  dimittunt causas  suas).

L'amministrazione della giustizia nella Chiesa, secondo Ruggero Bacone, deve tornare ad ispirarsi alla legge evangelica della prima comunità di Gerusalemme. Il Diritto Canonico si deve rifare alle fonti della Sacra Scrittura e alla dottrina dei Padri (per illas debet exponi et concordari et roborari et firmari) in quanto si tratta di un ius sacrum ed è un ius sacrum, in quanto procede dalla Sacra Scrittura e dalla dottrina dei Padri (per eas factum est hoc ius sacrum). Se il Diritto Canonico venisse purgato dalla superfluità del diritto civile (romano), la Chiesa potrebbe disporre di un mera­viglioso ordinamento giuridico, in consonanza con la sua dignità (Si ius canonicum purgaretur a superfluitate iuris civilis et regularetur per theologiam tunc Ecclesiae regimen fierit gloriosum et secundum eius propriam dignitatem) (I. Brewer, Fr. Rogeri Bacon opera quae-dam hactenus inedita, voi. 1 (Opus tertium: Epistola ad Clementem Papam) in Rerum britannicarum medii aevi scriptores, Londra 1859, pp. 84-85).

A proposito della posizione dottrinale di Ruggero Bacone nei riguardi del diritto canonico si deve osservare che egli non solo af­ferma la scaturigine scritturistica del Diritto Canonico, ma lo qua­lifica espressamente come ius sacrum: dopo tanti secoli, questa qua­lifica riappare ora nei documenti degli ultimi Pontefici e per le stesse ragioni addotte da Ruggero Bacone e questa visione del Diritto Ca­nonico sarà certamente di non poco vantaggio per la missione sal­vifica della Chiesa.

Un altro personaggio di spicco nella difesa dei diritti dell'uomo è Guglielmo Ockam (e.  1290-1350).

Molti dei suoi scritti traggono motivo dalla controversia in seno all'Ordine sul problema della povertà, tuttavia, « egli non si limita a ripetere i soliti argomenti tratti dalla pubblicistica del tempo, ma affiorano in essi... motivi che vanno ben oltre gli avvenimenti contingenti dai quali traggono occasione » (B. Nardi, Enc. Catt., voi. 9, col. 41).

Anche se a causa delle sue idee, non ha avuto certamente una vita facile, oggi Guglielmo Ockam è considerato il fondatore del diritto soggettivo.

Egli ha posto le basi del diritto soggettivo proprio con le sue argomentazioni a sostegno della povertà francescana (ius poli). A nessuno oggi sfugge l'importanza di questa branca del diritto e tutti siamo informati della dichiarazione dei diritti soggettivi del­l'uomo, emanata dall'Organizzazione delle Nazioni Unite nell'imme­diato dopo-guerra (10 dicembre 1948) e delle dichiarazioni successive di questa stessa Organizzazione.

Grazie ad una lunga conquista di ordine dottrinale, oggi il di­scorso sui diritti soggettivi dell'uomo (diritti fondamentali) è stato accolto ad ogni livello, non escluso il nuovo Codice di Diritto Ca­nonico.

L'interesse giuridico dell'Ordine dei Frati Minori per l'umanità e per la Chiesa in quanto sacramento di salvezza per tutti gli uomini, non verrebbe neppure abbozzato, se non si facesse un cenno alla posizione giuridica della Regola Francescana nell'ambito dell'ordina­mento giuridico della Chiesa e nella sua proiezione d'interesse giuri­dico per tutto il mondo.

Trattando dei problemi del nostro Ordine, Bartolo da Sassofer-rato (1313-1357) afferma che « Minorum Fratrum sacra religio fuit a Christi confessore Francisco in altissima paupertate fundata: et a multi summis pontificibus approbata: cuius vitae tanta est novitas quod de ea in corpore iuris non reperiatur auctoritas » (Tractatus mi-noritarum (proemio), in Miscellanea Iuris Franciscalis, auctore la-cobo de Grumello  O.F.M.,  Brescia  1502,  f.   177).

Effettivamente, l'Ordine dei Frati Minori, in quanto non si rifa­ceva alla matrice giuridica degli Ordini eremitici, monastici e cano­nicali, non ha potuto contare su nessun principio (fondamento) giu­ridico, accolto nel Corpus Iuris Canonici: si è trattato di una realtà giuridica tutta da costruirsi  ex novo!

Per comprendere appieno il senso della grande affermazione di Bartolo da Sassoferrato sulla novitas del nostro Ordine, bisogna porre la nostra attenzione alla decisione del Lateranense IV del 1215, che canonizza la nuova istituzione di religione apostolica, e la testimo­nianza imparziale e disinteressata di Giacomo da Vitry (coevo del Lateranense IV).

Il da Vitry dopo aver parlato della « religione » degli eremiti, dei monaci e dei canonici regolari, si esprime in questi  termini: « Praedictis tribus heremitarum, monachorum, canonicorum religio-nibus, ut regulariter viventium quadratur fundamenti in solidate sua firma subsisteret, addidit Dominus in diebus istis quartana religionis institutionem, ordinis decorem et regulae sanctitatem » (J. F. Hin-nebusch, The Historia Occidentalis of Jacques de Vitry. A criticai edition, Fribourg-Switzerland 1972, p. 158).

Secondo Giacomo da Vitry, questa « nova religio » è la religione dei poveri del Crocifisso, è la religione degli uomini apostolici (Ivi).

Il formidabile evento di cui nella decisione del Lateranense IV e nella esplicita testimonianza (ma non è la sola) di Giacomo da Vitry, a distanza di tanti secoli, non è ancora stato preso nella considerazione che merita.

Concretamente, in quanto la Regola Francescana è stata accor­pata (associata) al Corpus Iuris Canonici, le grandi novità giuridiche della « nova religio apostolica » sono queste:

Nell'ordinamento giuridico della Chiesa viene accolta una fra­ternità di uomini apostolici, forestieri e pellegrini in questo mon­do, espropriati di qualsiasi titolo di possesso, sia in privato che in comune.

  1. Viene accettata nell'ordinamento giuridico della Chiesa una fraternità a regime centralizzato, con proiezioni universali di futuro: una fraternità per il mondo, aldisopra delle strutture territoriali delle diocesi (cosa a quel tempo inaudita).
  2. Viene accolto nell'ordinamento giuridico della Chiesa il diritto-dovere della predicazione tanto per i chierici che per i laici.Viene accolto nell'ordinamento giuridico della Chiesa il di­ritto-dovere della compartecipazione alle responsabilità di governo tanto per i chierici che per i laici (Fr. Elia Ministro Generale del­l'Ordine), sotto la diretta dipendenza del Romano Pontefice.
  3. Viene accolta nell'ordinamento giuridico della Chiesa la pos­sibilità che i chierici (sacerdoti) apostolici vengano ordinati con il titolo della mendicità: la Chiesa ha accettato l'umiliazione di vedere i suoi sacerdoti all'elemosina di un pezzo di pane (cosa inaudita per la mentalità di quell'epoca).
  4. Viene accolto nell'ordinamento giuridico della Chiesa la pos­sibilità che i chierici (sacerdoti) apostolici vengano ordinati sacer­doti, senza rimanere associati all'episcopato (sacerdozio) di nessun vescovo diocesano (cosa inaudita), per cui è stato necessario asso­ciarli al sacerdozio del Vescovo di Roma.
  5. Viene accolta nell'ordinamento giuridico della Chiesa la pos­sibilità che il Ministro Generale di un Ordine apostolico possa conferire l'ufficio  della predicazione ai  suoi  sudditi, indipendentemente dalla loro condizione personale di chierici o di laici e che possa conferire ad essi la « missio canonica ad praedicandum » in tutto il mondo, impregiudicato il diritto del vescovo diocesano di accettare o rifiutare la predicazione del religioso apostolico, in ra­gione della valutazione della sua predicazione.

Per renderci conto della portata ecclesiale delle novità giuridi­che della Regola Francescana, non si dimentichi che tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose, fondati dopo il Lateranense IV, sono stati fondati sulle novità giuridiche introdotte nell'ordinamento giu­ridico della Chiesa  dalla Regola  Francescana.

Se è vero che tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose, fon­dati dopo il Lateranense IV, sono stati fondati sugli elementi giu­ridici canonizzati dalla Regola Francescana, non è altrettanto vero che dalla Regola Francescana abbiano preso anche la spiritualità, ma di questo ne portiamo anche noi la nostra parte di responsabilità.

A conclusione di queste nostre riflessioni sulla giustizia, come presupposto per la pace, dobbiamo dire con molta lealtà che noi Francescani non siamo interpellati dall'opus iustitiae soltanto in quan­to cristiani ed in quanto francescani, ma siamo interpellati anche da una tradizione giuridica di famiglia, che non possiamo miscono­scere come stimolo per un più efficace servizio alla giustizia, e conseguentemente alla pace, nelle strutture associative della Chiesa e dell'umanità. Vorrei ancora aggiungere che proprio in nome di questa tradizione il nostro Ordine sente la responsabilità, l'impor­tanza e la necessità di avere frati di buona formazione giuridica: formazione giuridica, che, alla luce di quanto è stato detto, diviene così un momento fondamentale della generale formazione del Frate Minore, appunto per questi elementi qualificanti della tradizione giu­ridica francescana: l'attenzione alla persona e la relazione fraterna con il prossimo.

Roma, 8 novembre 1989

Prot. 074741


 


 
 
 
 
 
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