Papez Viktor Ivan ,
Recensione: A.Saje, La forma straordinaria e il ministro della celebrazione del matrimonio secondo il Codice latino e orientale,
in
Antonianum, 79/1 (2004) p. 184-188
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La Tesi dottorale di A. Saje, sacerdote sloveno attualmente Segretario della Conferenza episcopale della sua nazione, discussa nel marzo del 2003 alla PUG, è uno studio storico-canonico e comparativo dell’ “iter” della norma canonica vigente circa la forma straordinaria della celebrazione del matrimonio sia nel Codice della Chiesa latina (CIC 1983) che nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO 1990) trattando questo problema anche dal punto di vista del ministro del matrimonio. In sostanza la Tesi si riferisce al can. 1116 del CIC e al can. 832 del CCEO che hanno un lungo sviluppo storico.
Il matrimonio è un’istituzione naturale e divina, elevata da Gesù Cristo a realtà sacramentale della nuova legge. Ne segue che il matrimonio nella sua concreta realtà dipende sia dal libero incontro dell'uomo e della donna, sia dal principio soprannaturale, cioè dalla volontà di Dio. In questo senso, il sacramento del matrimonio è tra gli altri sacramenti "qualche cosa di specifico" (Giovanni Paolo II., esort. ap., "Familiaris consortio", n. 68, 3). La Chiesa aveva ed ha tuttora un grande interesse per questa realtà naturale-divina-sacramentale e ha con le proprie leggi stabilito la normativa ecclesiale per la validità del patto matrimoniale, la normativa giuridica che riguarda i requisiti dei contraenti, del consenso matrimoniale e della forma canonica.
La Chiesa lungo i secoli ha sviluppato una propria forma giuridica che si distingue dalla forma liturgica, e ha fatto tutto il possibile affinché i contraenti possano seguire la forma della celebrazione del matrimonio prescritta dalla legge sia nella forma ordinaria sia, in casi eccezionali, nella forma straordinaria. La forma straordinaria si può applicare nei limiti di determinate condizioni, cioè quando esiste l'impossibilità fisica o morale di ricorrere al competente ministro assistente senza un grave incomodo presente sia da parte del ministro sia da parte degli sposi, in pericolo di morte in cui si trova almeno una delle parti e, fuori del pericolo di morte, quando si prevede prudentemente e con certezza morale, che l'assenza del ministro competente durerà per tutto il mese. In queste condizioni il matrimonio è valido se contratto davanti a due testimoni e se i contraenti hanno l'intenzione di celebrare un vero matrimonio. Nei testimoni non si richiedono qualità speciali fuorchè essi siano capaci di rendere testimonianza sull'avvenuta celebrazione del matrimonio.
L'Autore nell'elaborazione della sua opera è partito dalle fonti e dai documenti conciliari, dei Romani Pontefici e della Curia romana; si è servito dei documenti codiciali, legislativi e delle fonti giurisprudenziali (pp.217-238) e ha usato, inoltre, opere e studi di molti autori conosciuti e competenti in campo giuridico e canonico (pp. 238-260). Tutto ciò imprime all'opera di Saje serietà di contenuto e sicurezza nell'esposizione dell'argomento che denota pure la maturità critico-giuridica dell'Autore stesso.
Il contenuto del libro è diviso in tre capitoli che seguono l’esposizione logica e applicano la metodologia giuridico-canonica.
Il primo capitolo (pp. 9 - 68) parla dello sviluppo storico della forma del matrimonio e delle usanze che l'accompagnavano nel mondo occidentale e in quello orientale fino al Concilio di Trento. La Chiesa aveva ripreso il concetto del matrimonio romano, secondo cui esso nasce dal consenso dei contraenti. L'insegnamento delle scuole di Bologna e di Parigi circa la causa efficiente del matrimonio venne sintetizzato dai papi Alessandro III, Innocenzo III e Gregorio IX. La dottrina affermava che la natura sacramentale coincide con il contratto matrimoniale tra persone cristiane, cioè validamente battezzate. Con la dottrina della causa efficiente del matrimonio maturava nella Chiesa latina anche l'insegnamento circa il ministro. La maggior parte dei teologi era a favore della tesi secondo cui gli sposi sono i ministri del matrimonio. Mentre nella Chiesa latina maturava la dimensione contrattuale di cui sono autori gli stessi sposi, nella Chiesa orientale, venne accentuata la dimensione liturgica del matrimonio alla quale deve assistere un ministro sacro che incorona e benedice gli sposi novelli. Nell'Occidente fu la Chiesa a stabilire una forma giuridica della celebrazione del matrimonio obbligatoria per la validità, in Oriente invece fu lo Stato a confermare le leggi della Chiesa che obbligavano a livello ecclesiastico e anche civile (pp.67-68).
Il secondo capitolo (pp. 69-134) è dedicato allo sviluppo storico della forma della celebrazione del matrimonio dal decreto “Tametsi” fino al CIC del 1917. Con questo decreto del Concilio Tridentino, promulgato l'11 novembre 1563, si introdusse per la prima volta nella storia una forma ordinaria di celebrazione del matrimonio obbligatoria per la validità. Il Concilio ha risolto con questo decreto alcune questioni problematiche: lo stato dei matrimoni clandestini, il valore del consenso dei genitori, la necessità delle pubblicazioni e la forma della celebrazione del matrimonio. Il decreto stabilì che i matrimoni clandestini contratti in passato erano veri e validi matrimoni; al contrario, per il futuro sarebbero stati considerati validi solamente quei matrimoni celebrati alla presenza del parroco, o di un sacerdote da lui delegato, e di almeno due testimoni. La presenza del sacerdote competente non può essere considerata come un elemento essenziale nella costituzione del sacramento, perché la causa “efficiens” rimane il consenso. Il decreto “Tametsi” non fu promulgato dappertutto e ciò fu causa di gravi inconvenienti non previsti dal Concilio. Per risolvere nuovi problemi la Congregazione del Concilio introdusse nel 1602 una nuova forma canonica matrimoniale per i casi straordinari: quando i contraenti soggetti alla prescrizione tridentina non potevano in alcun modo trovare il sacerdote competente, avrebbero potuto sposarsi validamente anche davanti a soli testimoni. A questo nuovo provvedimento giuridico seguirono alcune risposte autentiche ai dubbi proposti. Nelle prime risposte si parlava solamente dell'assenza fisica del sacerdote; più tardi venne considerata accettabile anche l'assenza morale del ministro competente. Contrarre il matrimonio in forma straordinaria davanti ai soli testimoni significava che sono i contraenti stessi i ministri del matrimonio, anche se, secondo alcuni giuristi, gli sposi sono i ministri del contratto e il sacerdote il ministro del sacramento, separando così il contratto dal sacramento.
Il decreto del 1602 fu dunque una nuova legge che colmò la lacuna della legislazione tridentina e non una dispensa dalla legge del Concilio (pp.114-115). Durante la preparazione del Codice piano-benedettino, sempre la Congregazione del Concilio, il 2 agosto 1907 pubblicò il decreto “Ne temere” con il quale si voleva precisare delle condizioni necessarie per il valido e lecito matrimonio in circostanze straordinarie. Le norme di questo decreto furono introdotte nella legislazione del Codice del 1917 (can. 1098) con alcune particolarità. È interessante il fatto che la proposta di un canone sul ministro del matrimonio non venne accettata perchè tale dottrina “est absolute certa et practica, sed mirabile dictu multum ignnorata, ideoque annuntianda sicut in reliquis sacramentis” (p. 116).
Il terzo capitolo (pp. 135-208) è dedicato alla forma straordinaria nel periodo successivo alla promulgazione del CIC 1917 fino al CIC 1983 e al CCEO 1990. Gli argomenti più discussi in questo periodo furono: l’arco di tempo dell’ assenza del parroco, la specificazione dell'assenza fisica e morale del parroco, la precisazione del testimone qualificato e la valutazione del grave incomodo e della necessaria intenzione negli sposi. Per la valida celebrazione del matrimonio in forma straordinaria, cioè davanti ai soli testimoni, non è sufficiente il semplice fatto dell'assenza del sacerdote competente, ma si richiede la certezza morale di tale situazione nella quale il ministro sacro è assente oppure, anche se fisicamente presente, viene impedito di chiedere il consenso dei contraenti. Durante il Concilio Vaticano II, i Padri conciliari hanno suggerito alcuni cambiamenti, tra cui la valutazione del grave incomodo da parte del parroco, la delega dei laici ad assistere al matrimonio in mancanza di sacerdoti, una precisazione della forma straordinaria al di fuori del pericolo di morte, etc. La discussione conciliare non produsse tuttavia un cambiamento della legislazione e quasi tutto è stato lasciato alla normativa dei nuovi codici della Chiesa latina e di quelle orientali. Le Chiese orientali ricevettero per la prima volta una normativa circa la forma ordinaria e straordinaria con il m.p. "Crebrae allatae" del 1949 ed anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato la dimensione mistica e spirituale del matrimonio, restando in questo modo fedele alla terminologia e alla tradizione comune delle Chiese orientali.
Nelle ultime pagine del capitolo terzo troviamo un commento comparativo circa la forma straordinaria del can. 1116 CIC e del can. 832 del CCEO vigenti sul significato del grave incomodo, dell'assistenza al matrimonio, del ruolo dei testimoni, delle situazioni del pericolo e fuori del pericolo di morte, della presenza di un altro sacerdote, che deve essere chiamato e dell’esortazione a ricevere la benedizione. Tra la legislazione latina e quella orientale esistono alcune differenze, che devono essere prese in considerazione da parte degli studiosi e dei pastoralisti.
Sia il CIC can. 1116 che il CCEO can. 832 riconoscono le disposizioni giuridiche per la forma straordinaria della celebrazione del matrimonio, cioè gli sposi possono contrarre il matrimonio validamente e lecitamente alla presenza dei soli testimoni quando, a norma del diritto, l’assistente (CIC) o il sacerdote (CCEO) non possono essere presenti senza grave incomodo. La norma vale sia per il caso di pericolo di morte che per il caso fuori del pericolo di morte purché si preveda prudentemente che tale stato durerà per un mese. Nei limiti possibili si chiede che sia chiamato un altro sacerdote o diacono a presenziare insieme con i testimoni (CIC) alla celebrazione del matrimonio. A motivo della grande l'importanza del rito sacro il CCEO richiede, “si fieri potest”, un sacerdote anche acattolico che benedica il matrimonio contratto in forma straordinaria, però la sua presenza non è richiesta per la validità. Nelle Chiese orientali la facoltà di benedire il matrimonio è un atto di potestà di governo. Mentre, nella Chiesa latina può assistere ad un matrimonio un sacerdote, un diacono o in caso particolare anche un laico, in Oriente è solo il sacerdote che è competente ad assistere al matrimonio e benedire gli sposi.
Trattando del problema della forma straordinaria si pone la questione del ministro del matrimonio. Questo dibattito non è nuovo. Il CIC vigente tace sul ministro del matrimonio e il CCEO è ancora più riservato. Secondo la tradizione latina sono gli sposi stessi i ministri del sacramento del matrimonio con lo scambio mutuo del consenso. Nelle Chiese orientali, invece, sono i sacerdoti (vescovo, presbitero) ministri del sacramento, che viene identificato con l’incorazione. Ci sono degli autori che negano la funzione ministeriale degli sposi (D. Salachas), ed altri i quali affermano che il matrimonio nelle Chiese orientali non avviene attraverso il solo consenso, indipendentemente dalla benedizione del sacerdote perché per la validità è richiesta anche la forma liturgica (pp.202-203). La soluzione di questa diversità di vedute sta nel considerare ministerialità in senso stretto che può appartenere solo a coloro che pongono l'atto essenziale, cioè agli sposi che esprimono il consenso. La benedizione viene introdotta per volontà della Chiesa e non si richiede per diritto divino come elemento essenziale (p.205), sicché anche un matrimonio celebrato con la forma straordinaria, senza il ministro sacro, è un valido sacramento. Pertanto, se il ministro fosse il sacerdote si avrebbe un sacramento senza colui che lo amministri, il che non è accettabile (p. 208). La funzione ministeriale del sacerdote benedicente nella Chiesa orientale appartiene solo al rito essenziale e non all'atto essenziale del matrimonio che è il consenso degli sposi.
L’opera di A. Saje è senza dubbio uno strumento molto utile, quasi indispensabile, per gli studiosi di diritto canonico delle Chiese latina ed orientali, per un approfondimento dell'aspetto storico del problema e per un chiarimento dottrinale dell'attuale legislazione circa la forma straordinaria e il ministro del matrimonio nel CIC e nel CCEO. Non rimane quindi altro che raccomandare questo libro ai canonisti e ai cultori ed operatori del diritto della Chiesa.
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