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Recensione: John G. Snaith, Song of Songs

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: John G. Snaith, Song of Songs , in Antonianum, 69/1 (1994) p. 117-118 .

Il presente commento rientra nei parametri metodologici del precedente. Anche qui dobbiamo rimarcare l'essenzialità e la cura filologica del contributo dello S. ed anche qui si hanno chiaramente le stesse predisposizioni ermeneuti­che. Egli tiene ad affermare che il suo studio si rifa agli esempi offerti dai com­mentari del Gerleman (1981) e del Rudolph (1962) e che non gl'interessano troppo i lavori delle moderne teorie letterarie (M. Falk) o simboliche (F. Landy). Soprat­tutto, egli si appoggia all'approccio egittologico di M.V. Fox, The Song of Songs andAncient Egyptian Love Songs (Wisconsin 1985).

Nella sua sintetica introduzione, lo S. fa la storia dell'interpretazione di que­sto gioiello della letteratura veterotestamentaria e pone in risalto come al solito il problema di come mai un operetta così scopertamente erotica possa essere en­trata nel canone sia giudaico che cristiano. Certo, la prima soluzione può essere la interpretazione allegorica tradizionale del poemetto, che canterebbe l'amore tra Dio e Israele o tra Dio e la Chiesa, un'interpretazione che lo S. dice essere man­tenuta ancora oggi da «many Catholic commentators», mostrando di non essere proprio aggiornato bibliograficamente: negli ultimi due o tre anni, soltanto in Ita­lia, sono usciti vari commentari «cattolici» che certo non sono esponenti di un'in­terpretazione beghina (Ravasi, Garbini). Un'altra soluzione potrebbe essere l'at­tribuzione all'esponente per eccellenza della creazione letteraria sapienziale, Sa­lomone. Fatto sta che il Cantico mostra di avere avuto molto presto un posto d'o­nore. Come mai? Lo S. arrischia un'ipotesi che la dice lunga sull'atteggiamento ermeneutico della scuola esegetica tradizionale. La visione della sessualità del Cantico, svincolata da qualsiasi sacralità idolatrica del tipo dei riti cananei di fe­condità, ne mostrerebbe il valore critico e originalmente religioso, in senso jahwi-sta, che ne avrebbe fatto un manifesto dell'amore umano come puro dono di Dio. Per avere una tale visione della sessualità, che noi peraltro condividiamo piena­mente, penso però che si sia dovuto aspettare molti secoli, fino ad arrivare final­mente al XX, cioè al nostro!...

È questa originaria destinazione ideale del Cantico, che spinge lo S. a com­porre un commento che si svincola da qualsiasi allegorizzazione teologica e perse­gue invece un'esegesi filologica e letteraria, che s'ispira soprattutto alla produ­zione poetica amorosa dell'antico Egitto. Una creazione dello spirito umano molto antica e senza tempo, che, proprio per questo, non può far affermare una sua influenza diretta sul Cantico, ma remota sì. Tale influenza consistente eppur remota, rende difficile la datazione precisa del poemetto.

Il Cantico non ha una struttura unitaria che possa condurre a riconoscervi una specie di dramma amoroso. E tuttavia, vi è un'unificante genio ispirato che anima la disposizione dei vari canti amorosi del poema. È questo spirito che dà consistenza armonica e unitarietà allo snodarsi dei quadretti e delle situazioni. Come si può osservare, lo S. mostra con questa lettura una bella sensibilità poe­tica che fa raccomandare l'uso di questo piccolo commentario.



 
 
 
 
 
 
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