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Recensione: Farisco Michele, Ancora uomo. Natura umana e postumanesimo,

 
 
 
Foto Oviedo Lluis , Recensione: Farisco Michele, Ancora uomo. Natura umana e postumanesimo,, in Antonianum, 87/3 (2012) p. 620-622 .

L’antropologia filosofica si configura oggi come una disciplina aperta ed in costante sviluppo a causa delle condizioni dinamiche e contingenti del suo oggetto di studio: l’essere umano. Ne scaturisce una grande sensibilità verso le correnti di pensiero e le circostanze storiche attuali. Si può inferire che ogni epoca ha conosciuto il suo ‘modello dell’umano’, e che uno dei metodi per conoscere una realtà culturale sia quello di cercare il suo modo di rappresentare la persona.

Michele Farisco è un giovane ricercatore che opera nell’area dell’antropologia e dell’etica nell’ambiente accademico cattolico, molto attento agli sviluppi del pensiero antropologico odierno a livello internazionale. Lo scopo di questo suo recente libro è di dar conto delle correnti di pensiero che ritengono superata la fase dell’umanesimo e che sia necessario fare i conti con una condizione ritenuta ‘postumana’. A tale scopo, l’autore ricostruisce in primo luogo le correnti filosofiche che possono essere ritenute precedenti di una tale tendenza. Helmut Plessner e, ancora di più, Arnold Gehlen offrono i primi indizi in tal senso; la visione ‘eccentrica’ dell’umano nel primo, e la sua plasticità nel secondo certamente propongono già una certa rottura riguardo all’abituale paradigma moderno.

Sono stati tuttavia autori posteriori quali Deleuze e Foucault a portare la crisi della concezione umanista alla sua massima espressione, per aprire ad un incerto superamento.

Di ‘postumano’ vero e proprio si può parlare piuttosto in una declinazione diversa, cioè quella che prende in considerazione le seguenti chiavi: l’inserimento in un’ampia rete di informazioni; la visione evoluzionista della natura umana; l’impatto degli studi genetici; e la consapevolezza della funzione forte svolta dalla cultura nell’evoluzione umana. Questi fattori introducono una concezione più aperta, relazionale, dinamica e storica della realtà personale.

Sono vari gli autori che meglio sintetizzano tale visione: Marchesini, Longo, Haraway, Hayles e Pepperell. Per quanto concerne Marchesini, l’Autore rivela il contrasto tra il vecchio umanesimo e il postumanesimo che risulta dagli sviluppi accennati, e che si esprime in termini di superamento a vari livelli: del determinismo, dell’opposizione tra natura e cultura e dell’antropocentrismo epistemologico. Si punta dunque ad una forma di ‘ibridazione’, sia con il mondo animale che con quello culturale; ne risulta una realtà in tensione e di coevoluzione tra questi due poli.

Il rapporto con la tecnica costituisce un altro punto centrale nel processo di ridefinizione dell’umano. Esso sperimenta cambiamenti significativi grazie al progresso tecnologico applicato al miglioramento delle condizioni umane – sia fisiologiche (con i molti interventi e protesi oggi possibili) che psichiche; ne risulta una sorta di cyborg quale entità postumana non solo ipotetica. L’esame del rapporto con la tecnologia rivela ancora una volta una modalità di alterità e simbiosi, oltre il semplice sguardo strumentale. Gli sviluppi informatici e di Internet danno nuovo contenuto a tale configurazione simbiotica tra essere umano, macchina e rete d’informazione. Da questo stato di cose prende l’avvio il pensiero ‘transumanista’, uno sviluppo di carattere utopista che punta ad un superamento degli attuali limiti personali con il concorso del progresso tecnico.

Dopo l’esposizione del pensiero postumanista, Farisco intraprende il compito critico di mostrare i limiti ed i rischi insiti in una visione siffatta, e del programma che ne potrebbe scaturire. Si riscontra una certa svalutazione dualistica del corpo. Emerge altresì la questione della tutela dell’umano, della sua identità specifica messa a repentaglio da una visione troppo instabile e ibrida. Ne deriva la proposta di una ‘visione relazionale del senso’ e della responsabilità, che evita lo scoglio di una riduzione tecnica dell’umano. L’autore conclude il suo percorso riprendendo alcuni principi dell’antropologia classica che rivendicano un certo protagonismo o agenzia della persona, una certa stabilità malgrado il suo carattere mutevole. Il fatto è che la capacità di auto-trascendenza descrive uno dei tratti più specifici dell’umano: nel diventare postumana, la persona progetta le sue potenzialità, le sue caratteristiche più umane.

Farisco ha esposto in modo ordinato le ragioni di chi ritiene che siamo di fronte ad un profondo cambiamento del paradigma antropologico che aveva consacrato l’umanesimo moderno, ma che aveva le sue radici in quello classico e cristiano. L’ampia raccolta di autori testimonia una sensibilità volta a tracciare le trasformazioni in atto, che sarebbe ingiusto ignorare. Inoltre, vengono poste in rilievo le conseguenze a livello normativo di tali cambiamenti, che sono di grande portata in diversi scenari: dall’etica politica alla bioetica. Sicuramente non è possibile rispondere ad alcune grandi questioni che emergono dalla lettura di questo saggio, soprattutto quando si tenta di risolvere la tensione tra gli elementi stabili o ‘perenni’ dell’umano e quelli che sperimentano realmente profonde trasformazioni lungo la storia, a causa del meccanismo di co-evoluzione con la cultura.

Non vi sono riferimenti teologici o all’antropologia cristiana in quest’opera, che comunque non dovrebbe essere ignorata dai teologi, in special modo da quelli fondamentali, quelli che si occupano di antropologia teologica e ancor meno dai moralisti e dai teologi pratici. Il libro descrive l’affermarsi di una vi sione dell’umano più complessa, con i suoi pregi e rischi. Qui non si tratta di ideologie, ma di tentativi di fare i conti con la situazione attuale e le sue chiavi di lettura. Se la teologia deve conoscere i suoi contesti, questo libro fornisce un ottimo strumento per poter adeguare il discorso cristiano alle nuove circostanze antropologiche.

 



 
 
 
 
 
 
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