Nobile Marco ,
Recensione: G. Garbini, Storia e ideologia nell'Israele antico ,
in
Antonianum, 62/1 (1987) p. 120-121
.
« Pur nella diversità di ogni singola ricerca, fin dall'inizio ho perseguito un unico scopo: indagare su quanta storia e quanta (e quale) ideologia si dividono rispettivamente il patrimonio dell'antica tradizione storica ebraica» (p. 10).
Con queste parole della sua prefazione, il G. propone una raccolta di quattordici studi di indole storica, che abbracciano praticamente tutta la storia veterotestamentaria:
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La storia d'Israele
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L'impero di David
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Storie di re
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Origine e sviluppo dello yahvismo
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Dall'untore all'unto: il « messia »
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Abramo fra i Caldei
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Un profeta e il re dei re
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L'ira di Mosè
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Il sangue dell'innocente
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Le dodici tribù
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Le imprese di Giosuè
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Tra Egitto e Babilonia
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Ezra
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Il tempo e la storia
L'intento dell'Autore è stimolante e degne d'interesse le tematiche svolte. Difatti, egli sì proporrebbe di distinguere finalmente ed adeguatamente tra storia fondata su dati obiettivi (che per il G. s'identificano tout court e solamente con quanto si ricava da prove extrabibliche) e manipolazione ideologica delle fonti e dei dati storici, atta a legittimare una teologia storica.
Senonché, il G. si lancia in una crociata, che qua e là assume toni pamphlettistici, contro i « biblisti » e soprattutto contro i teologi, particolarmente quelli tedeschi.
In realtà, FA., che potrebbe portare una ventata d'aria nuova e pungente per dar man forte agli orientamenti esegetici contemporanei, sembra spalancare delle porte aperte.
E' vero che in passato vi è stato, e vi è ancora, un approccio all'AT, che pur non essendo più fondamentalista, era però, ed è, intralciato da una precomprensione teologica confessionale. Per avere un'idea di ciò, basta leggere la rassegna di H. Graf Reventlow, Hauptprobleme der altte-stamentlichen Theologie im 20. Jahrhundert, Darmstadt 1982. Ma è anche vero che consistenti sono gli sforzi esegetici e gli orientamenti contemporanei (una prova è il libro succitato) per una continua rilettura critica delle opere letterarie dell'AT e del corrispondente retroterra storico, coadiuvati anche da mezzi filologici extrabiblici. Il G., del resto, lo ammette (p. 32), ma quasi di sfuggita, senza mitigare in seguito il tono sprezzante verso (e questo è interessante) i « biblisti » (chi? Non si parla mai di esegesi o scienza biblica).
Eppure il G. sa, in qualità di studioso, che dietro la pluriforme rappresentanza scientifica odierna, vi è un ormai secolare lavoro che ha impegnato l'intelletto e la vita di generazioni di uomini. D'altra parte non si può dare addosso alla scienza, perché work in progress, se scienza autentica è, né quindi si possono deridere i padri che hanno aperto faticosamente la strada ai più provveduti figli di oggi (ma anche i figli odierni non si permetterebbero più di usare i nomi di Renan o di Ricciotti, come fa il G., per condurre un'argomentazione).
Se si ha una conoscenza sufficientemente completa della letteratura esegetica contemporanea, si avrà modo di notare anche che un orientamento in particolare va facendosi strada, seppur ancor faticosamente. La catastrofe del 587 a.C. e l'esilio babilonese costituiscono uno spartiacque centrale da cui partire per una lettura adeguatamente critica della letteratura pre- e postesilica. Senza dubbio, è dall'esilio in poi che si sviluppa la configurazione definitiva dell'opera anticotestarnentaria.
Il libro del G. può rientrare nei contributi a tale orientamento, anzi si auspica che ad esso seguano altri più profondi, fondati e articolati studi dell'A. Per il momento, rimane un'utile ma modesta mole di studio (solo 248 pagine) di fronte alla mastodonticità dei problemi esistenti, sia storico-letterari che, perché no, anche teologici. Difatti, solo una conoscenza della teologia autentica, può far capire che ai « biblisti » non fa scandalo il discernimento critico tra l'ideologia e la storia, e, più in particolare, la storia del pensiero ebraico, che ha a che fare con la teologia (e non solo con sigilli e monete).
Del resto, il criterio metodologico del Nostro va applicato anche alla letteratura neotestamentaria, per cui non si sostiene quel fondamentalismo cristiano antigiudaico che il G. denota a p. 97, nota 16 (cf. anche p. 61 e 248), quando tenta di fare., della teologia (« ne supra crepidam sutor »...).
Comunque, per finire, il libro del G. è da consigliare a tutti coloro che amano la scienza quale ricerca dialettica della verità.
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