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Revista Antonianum
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Foto Kopiec Maksym Adam , Recensione: GIORGIO JOSSA, Gesù Messia? Un dilemma storico, in Antonianum, 81/3 (2006) p. 561-565 .

Il nucleo della fede cristiana è costituito dalla centralità della persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo. Una delle questioni più dibattute e discusse fino a oggi, è l’identità e la missione di Gesù, in qualità di “Messia”, intesa alla luce della tradizione veterotestamentaria e delle promesse dell’Antica Alleanza, e poi interpretata come il loro compimento testimoniato dal Nuovo Testamento.

In breve, il termine “messia” corrisponde al vocabolo arameo Mesîhâ e all’ebraico masîah che a loro volta corrispondono alla parola greca Χριστός, “l’unto”. Originariamente, l’Antico Testamento adoperava questa nozione in particolare per il re unto discendente di Davide (1Sam 24,6) e il sacerdote (Lv 4,3). Così, accanto all’uso del termine che dava risalto allo statuto regale, persisteva altresì il tema del consacrato da Dio. In entrambi i casi, con questa idea si additava una persona investita da Dio di speciali funzioni e poteri. Pertanto, in diversi luoghi dell’AT (ad esempio 2Sam 7,12ss; Is 9,5-7; Ez 34,23s; 37,24s; Sal 89,35s), con «il Messia» si intende il re promesso della stirpe di Davide oppure un agente al quale Dio avrebbe dato potere per liberare il suo popolo e inaugurare il vero Regno di Dio.

Chiaramente, i primi cristiani pensavano a Gesù sia come all’agente consacrato della salvezza, e sia come al Messia regale. La designazione comprensiva per Gesù “Messia” o “Cristo” era così frequente che, all’incirca a metà del primo secolo, era diventata un (secondo) nome proprio (1Ts 1,1). Quanto a Gesù stesso, la teologia cristiana era convinta che egli concepisse la propria identità come un agente unico, investito della missione di portare il Regno finale di Dio e quindi come il consacrato della salvezza.

Tuttavia, la riflessione cristiana, nell’onestà della ricerca scientifica, non può mai sfuggire alla domanda sulla legittimità e sul motivo dell’uso di tale designazione/titolo in riferimento a Gesù Nazareno, servendosi a questo scopo delle analisi esegetiche, degli studi storici e teologici sul Nuovo Testamento.

La questione diviene ancora più seria da quando ci si interroga – e questo è il tentativo di Giorgio Jossa nel suo libro Gesù Messia? Un dilemma storico – “quali sono i principali problemi di interpretazione che si pongono al lettore dei Vangeli sulla pretesa messianica di Gesù e qual è da considerarsi oggi la soluzione più probabile dell’enigma delle origini della fede cristiana nel Messia” (p. 9). Ciò induce l’autore ad approfondire e situare il tema della messianicità di Gesù in un orizzonte storico, e a mostrare tutta la difficoltà dell’argomento, condizionata dalla varietà delle interpretazioni delle fonti storiche di cui oggi disponiamo. Così la problematica, oltre che essere sottoposta ai criteri teologici, è inserita dall’autore nel mezzo dei due poli: della documentazione storica e della sua interpretazione. In effetti, è necessario distinguere tre elementi che andranno correttemente relazionati: 1. la tesi sull’attesa messianica nella storia del popolo di Israele e le sue varie interpretazioni (Introduzione e capitoli 1-3); 2. l’atteggiamento di Gesù, la sua coscienza e il suo modo di rapportarsi con tale speranza messianica (capitolo 4); 3. e, infine, l’interpretazione e l’atteggiamento della comunità cristiana primitiva sia nei confronti della tradizione veterotestamentaria, sia nei confronti della persona di Gesù di Nazareth (Conclusione).

Il libro di Giorgio Jossa è composto di quattro capitoli con un chiaro procedimento tematico, facile da seguire. L’autore inizia con l’Introduzione, nella quale presenta gli esiti degli studi storico–critici sui Vangeli e sul modo di intendere la pretesa messianica di Gesù, sviluppati entro gli ultimi due secoli, indicando i nomi dei precursori di tale metodo, come H. S. Reimarus, D. F. Strass, poi dei più importanti propugnatori della teologia protestante liberale, come H. J. Holtzmann, J. Weiss, A. Schweitzer, W. Wrede, dei fautori della scuola della storia delle forme (Formgeschichte) rappresentata da K. L. Schmidt, M. Dibelius e R. Bultmann, e della scuola della storia della redazione (Redaktionsgeschichte), inaugurata da H. Conzelmann e sviluppata da W. Marxsen, terminando il suo percorso con gli autori più recenti R. H. Gundry e M. Hengel (pp. 11-20).

Dopo l’introduzione, Jossa espone nel primo capitolo “Le diverse valutazioni dell’attesa messianica al tempo di Gesù”. Egli analizza le varie ipotesi teologico–storiche riguardo all’esistenza o meno di una attesa messianica al tempo di Gesù. Si domanda, quindi, se davvero nel popolo ebraico d’allora fosse presente la speranza messianica e, se sì, di quale carattere fosse. La questione appare di capitale importanza, giacché costituisce il necessario Sitz im Leben di una eventuale pretesa messianica di Gesù stesso; altrimenti sarebbe difficile capire e sostenere l’opinione sulla pretesa messianica del Nazareno. L’autore enumera tre ipotesi particolari: la prima afferma “l’esistenza di una diffusa attesa messianica (davidica)” in quel periodo (pp. 21-28); la seconda nega che sia esistita un’aspettativa generale dell’avvento di un messia (pp. 28-36); la terza, invece, rifiuta la presenza dell’attesa messianica davidica, però ammette le sue altre forme, soprattutto quella escatologica oppure rivoluzionaria o regale (pp. 36-41).

Prospettate le varie opinioni, l’autore adduce nel secondo capitolo “le principali testimonianze sull’attesa messianica al tempo di Gesù” di cui oggi disponiamo, per poter verificare le sopramenzionate posizioni. Queste testimonianze egli le divide in tre gruppi. Il primo gruppo è costituito dal “messianismo davidico dei gruppi farisaici e dei ceti popolari”, caratterizzato da una forte attesa messianica, rivolta a un discendente della famiglia di David (pp. 43-53). A favore di questo tipo di messianismo vengono annoverate alcune testimonianze, ad esempio, i testi biblici dell’AT (2Sam 7,12-16; Gen 49,10; Num 24,17; Is 11,1-5) e del NT (Mt nel suo carattere globale, Mc 10,47-48, Rom 1,3-4); i testi giudaici extra-biblici come i “Salmi di Salomone” e le “Diciotto benedizioni”; i manoscritti di Qumran (4QpGen, 4QFlor, 4QpIsa, 4QSerekHaMilhamah); le opere storiche dell’epoca (Guerra giudaica di Giuseppe Flavio e Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea) (pp. 53-56). Nel secondo gruppo di testimonianze vengono riportati i personaggi (i tre ribelli Giuda, Simone e Atronge, che alla morte di Erode il Grande hanno cinto la corona; i due capi della guerra giudaica contro i Romani, Menahem e Simone bar Giora), visti come fautori rivoluzionari di una monarchia popolare, che aveva anch’essa radici nell’AT. “I movimenti da loro ispirati possono essere considerati movimenti messianici popolari, se intendiamo per messianico qualunque movimento si prefigga il cambiamento radicale, quindi rivoluzionario, della situazione politico–sociale esistente” (p. 55). Il terzo gruppo di testimonianze messianiche è di carattere apocalittico ed è rinvenibile nel libro del profeta Daniele (7,1-8), nei manoscritti di Qumran (4Q246), nelle parabole del libro etiopico di Enoch (i capitoli 37-71), risalente al periodo tra la metà del I secolo a.C e il 70 d.C., e soprattutto nei Vangeli canonici (pp. 56-63).

Nel terzo capitolo l’autore si occupa della “storicità” del Vangelo di Marco (pp. 65-86). Secondo una comune opinione degli studiosi, questo Vangelo si manifesta come una fonte assolutamente privilegiata, in quanto documento fondamentale per ogni tentativo di ricostruire la vicenda storica di Gesù, la sua pretesa messianica e, di conseguenza, definire le possibili forme di attesa messianica presenti tra il popolo ebreo d’allora. In base ai risultati raggiunti, Jossa afferma che il Vangelo di Marco deve essere compreso come storia kerygmatica, vale a dire come testimonianza letteraria e assieme interpretazione teologica che contiene l’annuncio originario su Gesù. Tale opera teologica non è però priva di fondamento storico, anzi implica e poggia su tale vicenda storica. Il Vangelo di Marco è quindi un’opera che unisce kèrygma e storia. In tale senso esso può essere considerato storicamente attendibile, per quanto attiene i dati relativi alla messianicità di Gesù e l’ambiente in cui essa emerse.

In questo modo, ammettendo l’attendibilità storica del Vangelo di Marco, Jossa pone in risalto, nel quarto capitolo (pp. 87-125), le tre designazioni particolari tramite cui si esprime la messianicità di Gesù documentata da Marco: la prima del “Cristo”, confessata da Pietro (Mc 8,29); la seconda del “Figlio di David”, registrata in occasione dell’ingresso in Gerusalemme (Mc 11,1-10), della questione del Figlio di David (Mc 12, 35-37) e della risposta di Gesù a Caifa (Mc 14,62a); la terza, quella del “Figlio dell’uomo”, derivata da Dan 7,13, e in Mc mai adoperata né dai discepoli né da estranei, ma sempre pronunciata da Gesù (Mc 2,10.28; 8,38; 14,62b).

Nella “Conclusione” (pp. 127-130) del suo lavoro l’autore constata che fino alla fine della sua vita, Gesù non ha mai rivelato esplicitamente di essere il Messia davidico; piuttosto, nascondeva la sua identità messianica dietro i suoi accenni enigmatici alla figura misteriosa del Figlio dell’uomo. Esiste dunque un’impossibilità storica di penetrare nell’identità profonda di Gesù. Il Vangelo di Marco ha espresso questa impossibilità attraverso due tematiche: il segreto messianico e l’incomprensione dei discepoli. Questa impossibilità può essere superata soltanto con un passo teologico – supponendo ovviamente che l’affermazione teologica implichi un fondamento storico – vale a dire solo attraverso un evento di rivelazione che dischiude il mistero. Più precisamente si tratta dell’evento della risurrezione, che ha svelato ai discepoli la vera identità messianica del Maestro di Nazareth. In tal modo, le varie e determinate forme dell’attesa messianica registrate nell’AT possono essere prese a misura non tanto della vera identità e missione di un Messia atteso, ma esse esprimono piuttosto la promessa fatta da Dio, sempre viva nel popolo giudaico, di inviare un mediatore della salvezza. Infatti, dalla sola promessa documentata dall’AT non risultano chiari ed evidenti i concetti né della salvezza nè di un messia – mediatore. In tale contesto l’autore sottolinea il fatto che la misura di cosa sia il Messia e che cosa esso significhi è determinata dalla persona stessa di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, consacrato e inviato da Dio per la salvezza degli uomini e per instaurare il Regno di Dio.

Il valore del libro di Jossa sta soprattutto nella presentazione del tema arricchita dai dati storici, raramente presi in considerazione nell’esposizione teologica del tema della messianicità di Gesù. Qui appaiono soprattutto il problema dell’esistenza e la complessità dell’attesa messianica al tempo di Gesù, la quale assume diverse forme e tradizioni. Così l’autore riporta la varietà di opere della letteratura religiosa o di fonti storiche extra-bibliche, a volte sottovalutate dalla teologia, al fine di dare un’ampia impostazione della questione, ad esempio: Salmi di Salomone o Diciotto benedizioni, i manoscritti di Qumran, il libro etiopico di Enoch, il quarto libro di Esdra, Guerra giudaica e Antichità giudaica di Giuseppe Flavio, e anche Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea.

In effetti, nel libro di Jossa si percepisce il tentativo di coordinare e congiungere gli esisti delle varie discipline (storia, ermeneutica, analisi letteraria, teologia), senza trascurare i principi metodologici propri di ognuna di esse. Così egli cerca anche di rispondere ad una sfida comune della ricerca scientifica odierna -presente in vari campi del sapere umano - orientata ad una apertura interdisciplinare. In questo caso, ad esempio, la base storico-ermeneutica, così accentuata e seriamente trattata dall’autore nella presentazione del tema, non si contrappone ai dati teologici, anzi li conferma ed approfondisce. La teologia, a sua volta, propone di dare, alla luce della fede pasquale, una nuova ottica interpretativa agli eventi storici, i quail, senza la fede, costituiscono un enigma irrisolvibile.

A questo punto, conviene consigliare ai lettori, e tra questi anzitutto agli studenti e ai ricercatori nell’ambito della teologia biblica, della cristologia del Nuovo Testamento o della teologia fondamentale, di leggere questo libro e di utilizzarlo per un’ulteriore ricerca e approfondimento delle questioni relative all’idea del messianismo presente nella tradizione giudeo–cristiana, tanto più che questo appare ancora come un problema, per lo meno sotto certi aspetti, aperto.


 
 
 
 
 
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